Cosa resta di “Changeling”, l’ultimo e straordinario film di Clint Eastwood, ad oggi tra i più grandi cineasti americani viventi?
Forse l’ultima immagine, con una donna che se ne va in una Los Angeles che torna un’istantanea d’epoca, perde i colori freddi per assumere quelli di una sbiadita fotografia in seppia, mentre al cinema Royal danno “Accadde Una Notte” di Frank Capra.
Richiama il movimento di macchina che apre il film – lo stesso ma inverso effetto di bianco e nero che prende colore – ma è solo l’illusione che si sia chiuso un discorso.
E’ un’inquadratura forse banale, ma intrisa di significati vivi e pulsanti, di allusioni percepibili eppure sotterranee e maginificamente allusive, che si vieta con tenacia di chiudere il cerchio di un’opera densa ed indimenticabile, che non riesce mai a mettere la parola fine, come se Eastwood non si volesse mai staccare dal film, dalla sua protagonista, dalla sua disperata ricerca e dalla sua incrollabile fiducia, immutata lungo i dieci anni in cui si sviluppa la vicenda.
Resta l’estremismo anarcoide – ma in questo rigorosamente etico, il che fa di Eastwood appunto un portabandiera di una cinematografia e dei suoi valori puri, un vero autore nazionale – di una donna che combatte da sola contro il potere, la burocrazia, i media, un essere umano usato e forse sconfitto, ma sempre capace di sbattere in faccia i propri sentimenti, la propria accanita sensibilità di madre, davanti al grigiore delle autorità , ai freddi calcoli di politica, al cinismo arrogante e violento della polizia di Los Angeles.
Per questo Eastwood insiste sui primi piani su Angelina Jolie in lacrime, sulla sua commozione composta, sul suo viscerale attaccamento al figlio che la mette in una condizione di incomprensione (il capo della polizia che non riesce a spiegarsi perchè per lei un figlio non possa valere un altro…) , di isolamento (il dialogo con il direttore del manicomio in cui viene relegata, ennesima figura che non tradisce alcun brandello di emozione), internata perchè non si sottomette alla logica di un mondo dalle regole sbagliate, di donne che hanno avuto la sola colpa di chiedere giustizia.
Una pale rider che attraversa il suo dolore, i suoi traumi, in una città che sorge piena di contraddizioni, di orrori, di solitudini, che annienta l’innocenza e lo spirito puro dei bambini (la sconvolgente confessione
Non è retorica drammatica, ma piuttosto un indignato e rispettoso (spesso la macchina da presa si defila, osserva da lontano, come a non voler invadere troppo il dolore) grido d’accusa: basta confrontare le lacrime sommesse dell’attrice con la sequenza dell’esecuzione – una delle più crude e brutali della storia del cinema – e paragonarle con il pianto vigliacco e patetico del condannato, che invoca perdono davanti alla paura dell’inferno.
C’è tutto Eastwood – la sua morale e il suo cinema, la sua carriera da attore outsider fino al trionfo critico e al riconoscimento ufficiale dell’Academy – nella sua riscossa contro le istituzioni, e la sua poetica che apre al dolore terribile della vita che non si piega alla rassenazione.
L’orgoglio di una storia vera che si concentra sulle persone comuni, coinvolte loro malgrado in situazioni più grandi di loro, come se la storia – sfondo inevitabile, presente ma mai protagonista – si spostasse dalle figure ufficiali e riconosciute per sfociare nella dignità della gente che prende il tram, che si preoccupa per il figlio che resta a casa, che teme di non ritrovarlo al suo ritorno, che vede il suo incubo trasformarsi in realtà (la Jolie che si aggira per casa e cerca il suo piccolo di dieci anni).
E c’è il cinema, quella citazione di Frank Capra che non può non passare inosservata (Domani andremo al cinema, te lo prometto è l’ultima cosa che la donna dice al figlio, ed è il suo ultimo proposito crudelmente disatteso dagli eventi): un rigore classico che richiama a suggestioni antiche, scava, che non si vergogna del suo essere asciutto, che si limita a poche, ossessive ed evocative note di colonna sonora, che si afferma orgoglioso nella fermezza delle sequenze nell’aula del tribunale.
Eastwood è incapace di deludere, e la notizia di ogni suo nuovo film (il prossimo “Gran Torino” è già pronto ad uscire) ormai è sempre la fantastica promessa di una sensazione indelebile.
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