A trent’anni dalla propria adozione Laura torna a vivere nell’ex orfanotrofio che l’ha vista bambina. Il sogno della donna di rendere la maestosa villa vittoriana un centro per piccoli disabili è appoggiato dal marito Carlos e dal figlioletto adottivo Simon. Durante la festa d’inaugurazione però, l’idillio familiare è spezzato da oscure presenze che trascinano Simon in una caccia al tesoro senza ritorno. Lungometraggio d’esordio del giovane regista spagnolo J. A. Bayona “The Orphanage” è una creazione oscillante tra ghost story, gotico e melodramma. Retto su una trama non originale (chiare le influenze di film quali “The Others” e del “Il Sesto Senso”) “The Orphanage” è ben costruito, a tratti toccante grazie soprattutto alla tenerezza mossa dal piccolo e talentuoso Roger Prìncep nei panni di Simon. La vicenda ruota attorno al legame tra Simon, bimbo-Peter- Pan precocemente conscio del proprio destino e Laura, madre adottiva e devota (una superba Belèn Rueda già vista in “Mare Dentro”) che farà di tutto per ritrovare il suo tesoro nascosto. Ricordi, memorie, segreti chiusi a chiave, “The Orphanage” ci mostra l’infanzia e il suo difficile abbandono con i toni della fiaba, colori tenui e personaggi con i quali l’empatia si fa facile e immediata. Davanti alla macchina da presa il film scorre fluido sebbene inizialmente un po’ lento nel ritmo, lasciando tuttavia lo spettatore immerso in una tensione costante. Prodotto da Guillielmo del Toro, vincitore di ben 7 premi Goya e con più di 25 milioni di euro incassati in patria, “The Orphanage” è un film dalla confezione perfetta che alla prima visione lascia soddisfatti e addirittura commossi. Se la cifra accademica di Bayona esce convalidata da questa sua prima prova registica, altrettanto non si può dire della sua personalità . Tutto è troppo perfetto, quasi patinato, un compito svolto egregiamente, dove lo spazio del rischio e della rottura non sono contemplati. E’ una partita giocata in casa, sul terreno sicuro dei topoi classici (lunghi corridoi in penombra, inquadrature dall’alto, porte che cigolano) che alla fine accontenta tutti tranne chi ha voglia di qualcosa di nuovo. La cinepresa di Bayona è delicata, non mostra, e questo è il suo punto di forza, ma se il sapore ne risulta equilibrato e piacevole il suo limite è che non sazia nè sorprende. Solo un paio di scene sono inaspettate, in grado di far sobbalzare dalla poltrona, e queste ruotano tutte attorno al contrappunto stilistico di due personaggi femminili quasi hitchcockiani (la finta assistente sociale impersonata da Montserrat Carulla e la figura della medium, una magnifica Geraldine Chaplin). Il resto del film è una godibile attesa con finale a due mandate, consolatorio e gioviale. Da vedere in attesa che il giovane Bayona ci dia qualcosa di altrettanto ben costruito ma più schietto e, di certo, meno pettinato. |
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