C’è Gerard Depardieu appoggiato al muro che mi guarda trasognato e squagliato tra schizzi arancioni. Sembra un sogno inquieto il mio, con oblique visioni e molto calore sulla pelle. Invece mi trovo a passeggiare tra i quadri ‘pop’ della sala 3 del Duel:Beat, teatro, di lì a poco, della performance live di Langhorne Slim. A fare da spalla al menestrello della Pennsylvania ci pensano i Gentlemen’s Agreement, band campana dalla forte propensione country, che prepara il terreno colorando ed agitando il nutrito seguito di amici e non con la presentazione del proprio debutto discografico “Let Me Be A Child”.

E’ ormai l’una quando Sean Scolnick fa il suo ingresso in sala accompagnato da Paul De Figlia al contrabbasso e da Malachi De Lorenzo – figlio di Victor dei Violent Femmes – alla batteria. Berretto blu, maglione slabrato ed un paio di pantaloni marroni a righe leggermente corti alla caviglia non tradiscono l’immagine da cantastorie vagabondo che si associa alla sua musica. La formazione scarna ed agguerrita mostra gli artigli fin da subito, inanellando gli adrenalinici brani tratti dall’ultimo omonimo disco di Langhorne, rivelando un’attitudine rock’n’roll che solo una band americana può permettersi. De Lorenzo picchia come un ossesso, seguito a ruota da De Figlia che fa del suo contrabbasso una macchina ritmica di primo livello. Langhorne, da parte sua, strazia la voce con ardore, eccita la platea, salta sulla batteria, riempie l’aria con un’esibizione tiratissima e travolgente. Suona una chitarra acustica, ma sembra che stia tormentando una Stratocaster; stabilisce un feeling immediato col pubblico, tanto da sembrare un consumato giramondo, quando invece si è al cospetto di un appena ventisettenne. Si balla, si porta il tempo e ci si sorprende durante le esibizioni di “Restless”, “Tipping Point”, “Rebel Side Of Heaven”, “Hello Sunshine” e di alcune canzoni tratte dal disco d’esordio “When The Sun’s Gone Down”.
Tra corde della chitarra che si spezzano e sudore a fiumi arriva anche il momento della suggestione, grazie a quelle ballate in pieno stile Dylan, come ad esempio la morbida ”Colette”, in cui si esalta l’intuito melodico di Scolnick.

Nel breve bis viene debitamente proposta l’Harperiana ”Diamonds And Gold” in versione acustica e solitaria, giusto per rimarcare la potenza del vero folk, cioè quello nato e cresciuto tra le praterie di provincia inseguendo infinite storie di sconfitte e di rinascite. Il pubblico gradisce la performance esplosiva del trio americano tributando lunghi applausi e generose bevute, ambrato corollario ad una serata che riporta la musica di qualità  nella città  partenopea.
Dal canto suo Langhorne contraccambia il calore offrendo, in un’ora o poco più, cartoline di un’America ingiallita, ma ancora piena d’energia.

Per foto e video si ringrazia fAnny.

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