Se sei un ‘bel fiulèt’, hai un lifestyle manager che assicura che tu sia sempre al momento giusto nel posto giusto e se la tua faccia da c**** finisce sulle copertine delle principali riviste di musica e di moda, in fondo ce l’hai fatta e non ti devi preoccupare più di tanto di produrre qualcosa che abbia un senso.
Si, ma Johnny Borell le manine sante poteva almeno sporcarsele per creare qualcosa degno di nota.
Se ogni tanto ancora canticchio il ritornello di “Back To The Start” del precedente self titled “Razorlight” in questo disco trovare un tormentone è davvero difficile. E non è una cosa positiva come potrebbe sembrare.
Il disco manca decisamente di personalità , a tratti è addirittura imbarazzante.
Eppure era stato strombazzato ai quattro venti come il potenziale album dell’anno e l’uscita all’inizio di novembre ha il significato della strenna natalizia.
Sono chiaramente leggibili dei tentativi di posizionare l’album nel mainstream dei concerti da stadio, scomodando persino Simon e Garfunkel in “60 Thompson”. La vocazione ‘indie’ della band è stata immolata sull’altare sacrificale della massimizzazione del risultato e quindi privando l’opera di ogni velleità creativa.
La voce di Borell a tratti scivola come su una buccia di banana verso un forzato dylanesque mentre le citazioni sparse qua e la come un prezzemolo impazzito sanno alla fine di poco, come in “Burberry Blue Eyes” che sa di “Baba O’Riley” degli Who, con quella batteria che sclera, nel centro del brano.
Un minestrone con tanti ingredienti che finisce per non avere alcun sapore e, paradossalmente, lascia l’amaro in bocca.
BOCCIATO.
2. Hostage Of Love
3. You And The Rest
4. Tabloid Lover
5. North London Trash
6. 60 Thompson
7. Stinger
8. Burberry Blue Eyes
9. Blood For Wild Blood
10. Monster Boots
11. The House