Iniziare a scrivere una recensione gia’ presuppone un atteggiamento mentale predisposto alla bisogna ed una quantita’ di tempo utilizzabile discretamente ponderata. Ma quando l’oggetto di suddetta operazione di nome fa Matthew Herbert i rischi cominciano ad aumentare vertiginosamente, i tempi si dilatano con ghigno bastardo e le idee si appallottolano su se stesse come gatti in amore.
Dove cominciare allora?
Qua ci sono 59′ 40″ di un’altra vita, quella che molti di noi anche insospettabili avrebbero voluto vivere”….anzi”….stravivere con testa pazza e mani in tasca.
C’e’ dentro tutto in questi 12 brani concepiti dalla mente dolcemente deviata del Signor Herbert: dalle feste in smoking ed abito lungo, alle luci soffuse di stanze fumose piene di soul e jazz nel Queens, ci sono i video in bianco e nero della BBC con Etta James e Aretha Franklin, un po’ di allnighters mod giusto perche’ sognare non costa nulla, tanto quanto “7 Spose per 7 Fratelli”, Robert Capa, Steve McQueen, il caso Watergate ed il James Ellroy piu’ visionario e oscuro.
Forse non ci siamo capiti, questo disco ha proprio la capacita’ fisica di proiettarti in atmosfere spazio/temporali che nell’immaginario comune hanno definito il concetto di nuovo benessere, di progresso, la rivoluzione ideale, i diritti civili, il potere espressivo ai massimi livelli, vale a dire i magnifici anni ’60 ed il decennio che ha cambiato per sempre la faccia della societa’ civile piu’ di qualsiasi altro.
Almeno secondo me.
Attraverso una complessita’ rara nella composizione,una vera e propria stratificazione di campioni cori e orchestrazioni, il risultato raggiunto e’ ultracompatto, altamente orecchiabile, fruibile e anche un po’ furbino,spendibile trasversalmente con leggerezza e forse e’ proprio questo lo scopo politico che l’autore si prefigge e che si evince dalle note interne del patinato booklet, preziosa guida nella pancia di questo, bisognera’ pur dirlo, geniale progetto.
La musica che ti si insinua sottopelle come veicolo di contestazione politica, contro il potere costituito ed i suoi perenni abusi nei secoli, simbolo di una decadenza che si nutre di tutto e si autocompiace senza tentativo di redenzione alcuna.
Prendi un orchestra di 100 elementi, The One Day Orchestra Of Noise, un coro smisurato, una cantante di enorme talento come Eska Mtungwari, gia’ con Jazzanova e Cinematic Orchestra, e portali a spasso tra British Museum, gli Abbey Road Studios ed il Parlamento Inglese, costruisci vibrazioni postive perfettamente architettate, suggerisci orchestrazioni magniloquenti e sottolinea il tutto con dei campionamenti che piu’ politicamente scorretti di cosi’ non si puo’ e che altro non fanno se non completare con seducente crudezza il quadro di insieme.
Questo album signori e signori si rivela garbatamente, pian piano, per quello che e’ veramente, ovvero un ‘concept album’ zeppo fino all’orlo di protest songs: una volta si usava una sei corde acustica e sgarruppata per rivendicare il proprio diritto alla normalita’, oggi c’e’ la piu’ alta sofisticazione, sia chiaro nell’accezione piu’ cool possibile, delle potenzialita’ elettroniche ed umane.
Ascoltate con attenzione per esempio “Pontificate”, “Waiting”, “The Story”, “Nonsound” e “One Life” e capirete che cosa voglio dire.
E allora chapeau per Matthew Herbert, che in un periodo di levigate superficialita’ riesce ad infilare sul mercato un prodotto non solo esteticamente tagliato su misura buono pure per la mamma, ma dotato anche di optionals pesantissimi chiavi in mano, ovverossia arguta critica sociale, ironia ed intelligenza acuminata.
E dite poco?
2. Pontificate
3. Waiting
4. The Yesness
5. Battery
6. Regina
7. The Rich Man’s Pray
8. Breathe
9. Knowing
10. Nonsound
11. One life
12. Just Swing