Chi conosce il cinema e la letteratura israeliani sa come sia difficile, per una nazione ancora non nata completamente, non accettata da molti, e dai confini e dalla sicurezza incerti, cercare di ricostruire una memoria comune. Per paradosso, lo stato della più antica cultura mediterranea non riesce ad avere una storia recente che vada oltre la Shoa, o che non sia fatta di guerre e massacri, e per questo preferisce non averne una, poggiandosi esclusivamente sulle sue radici millenarie.
Anche considerando un film come “Z32” del documentarista Avi Mograbi (presentato quest’estate a Venezia), ci si trova spesso davanti a personaggi – ragazzi/soldato che non hanno mai smarrito la loro identità  di ebrei e di esseri umani – che hanno però perso qualsiasi legame con le loro azioni, come se niente di quello che hanno fatto fosse mai successo.

“Valzer Con Bashir” è un film dall’importanza capitale non solo perchè drammaticamente legato alla cronaca di questi giorni (con l’IDF che avanza a grandi passi verso Gaza), ma soprattutto perchè si prende carico di questa impellenza di cercare un’idea di passato nazionale, come se finora ogni dramma bellico di Tsahal – responsabilità , eccidi ingiustificati ma anche vittorie ed eroismi – avesse la necessità  di essere rapidamente rimosso. Colpisce soprattutto il coraggio con cui il regista decide di affrontare il suo trauma personale – complice di uno sterminio inaudito – in una confessione umile e che sa essere tardiva: il rimorso si aggira sempre nell’ombra, come i cani rognosi del prologo, che fanno diventare lo splendente lungomare di Tel Aviv uno scenario da incubo, come se le colpe non potessero essere nascoste sotto ad un tappeto.

I protagonisti hanno tutti vissuto il Libano e il massacro di Sabra e Chatila, e davanti all’orrore hanno fatto quello che ha fatto tutta la popolazione: hanno cancellato, hanno estirpato ogni possibile traccia della loro presenza in quel posto. La parte più notevole del lavoro di Folman è proprio quella di ricreare la Beirut dell’epoca non in termini realistici, ma viceversa in termini onirici, ancor più efficaci proprio nella loro natura di incubi richiamati, più veri e crudeli di ogni testimonianza reale (un monito che si vede solo nel finale, con vere immagini di repertorio).
L’animazione come scelta di messa in scena è un passo necessario per ricreare uno scavo nei ricordi progressivo, che ha la dimensione di un viaggio allucinatorio. Il protagonista e i suoi commilitoni di allora possono affidarsi solo a visioni, più che a resoconti, condizionati da una trasfigurazione dettata dalla necessità  di un superamento urgente.

“Valzer Con Bashir” procede così per aneddoti e rievocazioni, sempre segnati non dal peso della realtà , ma dalla sua rielaborazione.
Nessuno ha la vera percezione di quello che è successo: non ce l’ha nemmeno il giornalista Ron Ben-Yishai, messo in crisi nella sua stessa ontologia di testimone.
E’ quindi stupefacente la decisione di ricostruire gli ambienti a partire dalle suggestioni (il sogno del regista), odori (quello nauseante del patchouli), emozioni (la necessità  – per gli ebrei naturalmente timidi – di scoprirsi uomini e guerrieri), sensazioni (la calma del mare), musiche (l’uso di canzoni patriottiche dell’epoca) ed icone (gli ossessivi ritratti di Bashir sui muri di Beirut, i discorsi del premier Menachem Begin passati alla televisione).
Folman ricostruisce la sua storia in modo del tutto eclettico, mischando gli stili, dal film inchiesta al reportage, dal musical al war-movie, abbandonando immediatamente la pretesa del documento e saldando il percorso a ritroso ad un bagaglio di immagini prese dai medium più disparati, bilanciando sempre la scomoda verità  e la sua rilettura.
La forza delle immagini è così densa che è difficile non restarne sbigottiti.

Locandina
Regia: Ari Folman
Sceneggiatura: Ari Folman
Montaggio: Feller Nili
Origine: Israele, Francia, 2008
Durata: 90′

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