Al cospetto di dischi così importanti talvolta mi sento a disagio: il foglio bianco da riempire evitando le banalità , cercando di non inciampare in qualcosa che non sia stato scritto centinaia di volte. Impossibile, per cui l’unica soluzione ed affondare le mani con vigore senza paura di sporcarsi.
Davvero è importante descrivere la musica dei Love ancora una volta? Davvero è indispensabile descrivere con accuratezza il suono di “Forever Changes”?
Personalmente trovo più importante ribadire le grandissime qualità di un album eterno che, nella sua immensa importanza, è ancora sottovalutato.
Volgendo lo sguardo al mio scaffale dei dischi, scorrendone rapidamente l’elenco rigorosamente alfabetico ( si, sono un maniaco della catalogazione) mentre il lettore sputa fuori le prime note di “Alone Again Or”, non posso fare a meno di pensare a quante band attuali oggi debbano essere riconoscenti ad Arthur Lee e soci. A quanto pare il folk è tornato di moda, spesso accompaganto dal prefisso ‘Psych’, come a delineare un linea dritta e atemporale che dalla summer of love di fine anni ’60 porta dritto fino ad oggi. Esisteva anche un modo diverso di vivere quel periodo, almeno musicalmente, è questo il grandissimo merito dei Love. Hanno sempre impastato le melodie ed il barocchismo orchestrale proprio di quel periodo con il folk, somigliando più ai Byrds e ai Jefferson Airplanes che ai fab four, facendosi portavoci di una cifra stilistica che fa delle sfumature acide il proprio fiore all’occhiello.
La tradizione americana che incontra le orchestrazioni pop, le atmosfere sempre sospese tra l’agrodolce e una cupezza di fondo ben celata dietro arrangiamenti corposi ed eleganti a ricamare trame sonore che non temono i momenti più abrasivi. Un miracolo pop. Un miracolo rock. Un miracolo folk. Semplicemente un album eterno.