Il dubbio: condizione di incertezza della mente o della volontà
1964. Area del Bronx. Il parroco Brendan Flynn sta pronunciando ai fedeli l’omelia, mentre sul lato sinistro della navata centrale avanza, con passo lento ma sicuro, Suor Aloysius, attenta nell’aiutare la concentrazione dei credenti, grazie anche ad un rimprovero strozzato nel silenzio, o ad un rapido ed efficace schiaffo sulla nuca.
“Il Dubbio”, di John Patrick Shanley, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo dramma teatrale, realizzato dallo stesso autore statunitense, con il quale vinse, nel 1995, il prestigioso premio Pulitzer.
La storia ruota attorno all’istituto scolastico religioso, diretto dall’inflessibile preside, Sorella Aloysius Beauvier, che vede nell’arrivo del moderno parroco Flynn, motivo di pericolo e sospetto. L’elemento che costituirà la detonazione all’apparente quiete dell’intreccio si identifica nella figura della giovane e remissiva suor James, ruolo chiave nel gioco delle parti in causa; l’allusione all’ambiguità del rapporto tra il sacerdote e il ragazzo di colore, Donald Muller, offre alla direttrice il pretesto per scuotere la precaria immobilità .
La sceneggiatura presenta un corpo robusto, perfettamente definito, rivelando una fisionomia bilanciata e accattivante per l’intera narrazione, riferita all’ambiente teatrale nel quale ha avuto origine. La trasposizione su pellicola risente della condizione da palcoscenico, in particolare nel montaggio cadenzato in termini sin troppi flemmatici e lirici, recuperando però vigore e autenticità espressiva nella fotografia e nella prova recitativa.
Roger Deakins presenta situazioni estetiche in accordo allo stato climatico: gli esterni possiedono un aspetto mimetico, disegnando una prevalenza di colori autunnali, soprattutto nei marroni, con le varie sfumature dal bruno all’ocra, e nei toni lividi delle zone naturali scure e del cielo torbido. Riguardo agli interni, la scelta cade sul contrasto tra pieni e vuoti, dove il predominio dei cromatismi offuscati crea, assieme al nero degli abiti ecclesiastici un’atmosfera di soffocante pesantezza, simile al sentimento che si respira negli stessi luoghi. A donare vivacità ed esuberanza comunicativa spetta alla magistrale dimostrazione degli attori, ripresi fin nei dettagli dei volti, sorpresi nelle minime variazioni e nelle più sincere verità fisiche. Meryl Streep, guadagnando l’ennesima nomination agli Oscar, regala un’interpretazione di eccezionale bravura, attraverso la messa in scena di una donna fermamente legata alle proprie certezze, che persegue con sconvolgente fermezza d’animo. Le disarmanti affermazioni, la sottile, pungente, ironia, la virile sfrontatezza con cui affronta padre Flynn, sino all’inaspettato crollo emotivo finale, mostrano una magnifica performance, sospesa tra inevitabile finzione e credibile verità . Philip Seymour Hoffman, nei panni del parroco, esibisce un’attendibile metamorfosi, nel passaggio tra la disinvolta sicurezza dell’uomo e il conclusivo cedimento, evocativo di un’ipotetica colpa, con il quale cede di fronte all’insistenza della suora. E se Amy Adams rappresenta la figura più debole nell’ambito recitativo, marcando eccessivamente la propria innocente semplicità , la parte di Viola Davis meriterebbe davvero il premio come miglior non protagonista, grazie al dialogo con la Streep, nel momento più alto del film, rivelando l’immagine di una madre che stordisce con il proprio relativismo etico, nella più brutale delle confessioni, suscitando, tuttavia, commozione e un vago, affranto, senso di sconfitta.
Shanley rende il concetto del dubbio effettivo fulcro del racconto, modulando l’intera esposizione su tale questione, colorando ogni elemento della stessa affliggente incertezza, quasi ragione di irritazione e tormento. Il soggetto basato sulla pedofilia, riesce a non intestardirsi su questo tema, estendendo la percezione di indeterminatezza anche al confronto tra il nuovo, riprodotto da padre Flynn e il modello conservatore, descritto dalla religiosa. Il vento, che solleva le foglie, muove i vestiti, intralcia il passaggio, si insinua nelle stanze, è per l’appunto il simbolo dell’innovazione, considerata nei pregi e nei possibili difetti, senza il riferimento a uno schieramento netto.
Il finale non risolutivo, se può presumibilmente indurre al malumore, deve pure essere accettato e previsto, nei riguardi di una pellicola che fa del dubbio l’autentica essenza, stimolando la riflessione, consigliando la domanda, senza indicare alcuna esplicita spiegazione.
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