Mettiamo subito le cose in chiaro: questo disco spacca.
Un amico mi ha consigliato il disco, io l’ho ascoltato e già alle prime note avevo la bocca spalancata e quasi le lacrime agli occhi. Mi ha portato indietro nel tempo DJ Signify con i suoi strumentali, a metà anni novanta quando i DJ spuntavano dietro ogni angolo ma solo i più bravi lasciavano veramente traccia: mi ha ricordato da molto vicino alcune cose di DJ Krush e questo è assolutamente un complimento.
Prima di tutto un po’ di storia, perchè Justin Levy è in giro dal novantasei, ma fino al 2004 aveva pubblicato solo mix-album (e mix-tape) poi era stata la volta di “Sleep No More”, uscito sotto l’egida della prestigiosa Lex (sotto etichetta della Warp dedita all’hip-hop più alternativo) senza però raggiungere troppa notorietà e successo. DJ Signify ha impegnato cinque anni prima di farci ascoltare nuovamente tracce inedite, ma la pazienza è stata ripagata ampiamente e questo disco, “Of Cities”, è davvero una perla: il 2009 non peteva iniziare meglio.
Suona scuro, materico, celebrale, muscoloso sin dalla prima traccia, una “The Sickness” che riporta ai fasti strumentali di DJ Krush, a quell’hip-hop contaminato ed avvolgente, mai scontato e dall’impressionante carico di suggestioni. Se ci dovessimo buttare su della terminologia si potrebbe parlare di kraut-hop assolutamente paranoico, ma non siamo qui per questo.
La successiva “Low Tide” è uno dei pochi pezzi a presentare la voce: infatti sopra un battito metallico, dall’incedere classico e dai suoni distorti abbiam il piacere di ascoltare il flow ispirato di Aesop Rock. Le basi sembrano di mercurio liquido: sono tossiche, contagiose, concentrate ed a tratti pesanti ma non sono mai prevedibili. Siamo dalle parti dei Dälek, ma questo è un trip sempre in bilico che però non prende mai male.
Sentitevi che spettacolo è “Costume Kids”: un beat psichedelico e una voce, per la quale qualcuno in internet ha coniato una definizione molto calzante “anonymous warbling blue-grass vocalist”, che insieme creano un mood instabile e schizofrenico, eppure così suadente ed irresistibile. E se vi pare che stiamo parlando di un album forse troppo ostico e poco fisico, siamo pronti a smentirvi: “Delight To The Sadist” ha un groove electro incalzante da far paura, una epicità rara. E non manca neppure l’aspetto ludico: “Bollywood Babies” con un sapore vagamente asiatico, sfacciate dimostrazioni di forza e abbondanti dosi di acido lisergico fa il culo pure a quello che voleva essere l’esperimento indù di un mostro come Madlib. E quando Aesop Rock torna al microfono è anche meglio di prima, ma non potrebbe essere altrimenti con un tappeto ritmico/strumentale che sembra uscire da liquami infernali per innalzarsi quanto più può verso le stelle. La conclusione poi è affidata a un esperimento riuscitissimo tra la psichedelica tedesca degli anni ’70, suoni magnificamente sintetici e il groove più strano possibile (cioè esattamente quello che volevano fare i Portishead col loro ritorno e che invece DJ Signify ottiene come se fosse la cosa più semplice del mondo).
Dopo un ascolto del genere mi sento dannatamente meglio e mi chiedo se tutto il 2009 si manterrà su questi livelli, intanto mi accontento di ributtarlo su e di urlare ai quattro venti quanto cazzo spacca (come dicevamo sopra)!
MySpace
2. Low Tide
3. Interlude #1
4. Costume Kids
5. Delight to the Sadist
6. Interlude #2
7. Vanessa
8. Interlude #3
9. 1993
10. Interlude #4
11. Sink or Swim
12. The Gods Get Dirty
13. Interlude #5
14. Bollywood Babies
15. Interlude #6
16. Hold Me Don’t Touch