Dimenticate “Citrus”.
Punto.
Accantonate i ‘muri di suono’, mettete a tacere le chitarre sature e stratificate. Smettetela di cercare una nuova “Sooner”. Perchè non arriverà  mai, questa è la verità . I My Bloody Valentine non esistono più, checchè vogliano farvi credere. Non ci sarà  mai più un altro “Loveless”, quindi mettetevi l’anima in pace: lo shoegaze impacchettato in copertine violacee e sfocate è morto.

Già  che ci siete abbandonate anche quell’idea malsana che vi passava per la mente: non troverete un altro accogliente rifugio per le vostre rumorose nostalgie anni novanta nemmeno nel nuovo disco degli Asobi Seksu. Le parole Yuki Chikudate e James Hanna sono state abbastanza esplicite a tal proposito: addirittura, nella registrazione della maggior parte dei pezzi, è stata incisa una sola traccia di chitarra. Qualcuno, già  lo vedo, starà  urlando al sacrilegio strappandosi i capelli nel nome dell’unico dio Kevin Shields.

“Hush” marca in effetti una svolta notevole nella produzione del combo nippo-americano: niente più echi e riverberi a seppellire la batteria sotto una spessa coltre rumoristica. Il suono è diventato più pulito e cristallino, tutti gli strumenti sembrano essere ora sullo stesso piano, e la voce zuccherosa di Yuki è sicuramente più godibile in questo contesto rinnovato. Qua e là  fanno capolino organi e synth, a ricordare come gli anni ottanta siano sempre in agguato, mentre la rinnovata sezione ritmica (Larry Gorman alla pelli e Will Pavone al basso) si svincola dalle gabbie di una ripetitività  ossessiva e si ritaglia persino qualche attimo di sano protagonismo.
“Me & Mary”, primo singolo estratto, tra sciabolate elettrificate e divagazioni noise, si pone come anello di congiunzione ideale col passato, mentre altrove le atmosfere si fanno spesso dilatate ed oniriche, e gli spettri di “Citrus” diventano solo un ricordo lontano. “Hush” infila una carrellata di brani che paiono lottare contro la forza di gravità  per staccarsi dolcemente dal suolo, leggeri ed ariosi, con chitarre che non aggrediscono più l’ascoltatore, ma lo avvolgono come una brezza tenue e lo sollevano dolcemente da terra, facendogli gettare lo sguardo su un candido paesaggio da fiaba.
Ma poi eccola, quando meno te lo aspetti, la sferzata di elettricità  che ti riporta con i piedi per terra, tanto per ricordare che gli Asobi Seksu sanno ancora graffiare ed esplodere al momento giusto ed in modo più composto rispetto al passato. Potremmo chiamarlo dream-rock, più che dream-pop, ma in fondo le definizioni servono a poco.

Un disco coraggioso, non c’è che dire, per il quale molti crediti spettano al produttore storico del gruppo, Chris Zane. E tuttavia non ci si può esimere dal riconoscere che, se la ricerca di un’audace evoluzione musicale rimane uno sforzo pienamente apprezzabile, non tutti i pezzi di “Hush” riescono a distinguersi per brillantezza compositiva: alcuni passaggi risultano alquanto monotoni e piatti (soprattutto nella prima metà  dell’album), e tirando le somme, un po’ si fa rimpiangere quell’irruenza primordiale che alla fin fine ci piaceva tanto.

Cover Album
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Hush [ Polyvinyl – 2009 ]
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Similar Artist: Slowdive, Cocteau Twins, The Pains Of Being Pure At Heart, Pale Saints
Rating:
1. Layers
2. Familiar Light
3. Sing Tomorrow’s Praise
4. Gliss
5. Sunshower
6. Risky and Pretty
7. In the Sky
8. Mehnomae
9. Glacially
10. I Can’t See
11. Me & Mary
12. Blind Little Rain

ASOBI SEKSU su IndieForBunnies
Recensione “CITRUS”