Negli ultimi anni si stanno moltiplicando gruppi capaci di fondere l’energia live con il freddo calore dell’elettronica, nello scorso anno abbiamo assistito per esempio all’esordio col botto dei finlandesi Syclops. Allo stesso tempo l’accordo perfetto tra strumenti digitali e ispirazione jazz non è ancora stato raggiunto ed il gruppo che più ha dato in questo campo, i Jaga Jazzist, è già qualche anno che tace (nonostante uno dei suoi più talentosi musicisti, Lars Horntveth, abbia prodotto da poco un opera di grande fascino recensita pure su queste pagine). Ora la norvegese Rune Grammofon rilascia il terzo disco del duo Humcrush, composto dal batterista e programmatore elettronico Thomas Stronen e dal tastierista Stale Storlokken, dal titolo “Rest At The Worlds End” simile tanto ai primi lavori targati Jaga Jazzist quanto al jazz-core un po’ indie e un po’ schizzato degli Acoustic Ladyland.
La particolarità delle composizioni è però nella loro nascita, registrata in presa diretta in varie località della Norvegia e frutto per buona parte di una sana improvvisazione.
L’iniziale “Stream” si srotola in tutte le sue più varie forme e sottoforme, da singulti bop a grammatiche sintetiche, da lontane reminiscenze orientali a graffianti bordate di pura cacofonia. E se tutto questo repertorio può sembrare eclettico, forse troppo per una sola traccia, rischierà invece di dimostrarsi un po’ monotono se protratto troppo a lungo. La successiva “Edingruv” sovrappone delicate strutture ambientali a un drumming leggero, ma suona al limite del sottofondo fino a quando nel finale interviene un cupa ombra reiterata di basso. Si procede, sempre sul limitare della noia (l’ambient proposto dai nostri è troppo poco organico per risultare convincente e, soprattutto, coinvolgente), fino a “Steam”, pezzo dall’incedere liquido e jazz che sfocia in disturbi e sincopi incerte. Si fa presto a finire nel glitch più inconcludente, mentre è più difficile coniugare intelligenza artificiale e nebbiosi ricordi soul (eppure “Solar Sail” è una delle cose più convincenti).
Finalmente “Bullfight” rialza i ritmi, ma non è altro che la copia sbiadita e leggermente più heavy di “Stream”. La conclusione è affidata ad una “Hit” che svela un po’ di funky in tutta questa sperimentazione, ma è ormai troppo poco per un disco che non convince mai appieno e si perde spesso in divagazioni che appaiono veramente sterili.
Band Site
MySpace
2. Edingruv
3. Rest At Worlds End
4. Audio Hydraulic
5. Steam
6. Airport
7. Solar Sail
8. Creak
9. Ghost Dance
10. Bullfight
11. Hit