Hanno i loro tempi, i Röyksopp. Sono passati più di tre anni e mezzo dal loro secondo lavoro in studio “The Understanding”, mentre per ritrovare “Melody A.M.”, il fulminante esordio che li ha proiettati nei club di mezzo mondo, bisogna risalire fino al 2001. Il duo norvegese composto da Torbjørn Brundtland e Svein Berge è solito fare le cose con calma, curare ogni cosa in proprio e a proprio modo. Ascoltando “Junior”, loro terzo disco, diventa più chiara un’impressione che già era sorta in passato: i Röyksopp non si muovono tanto per direzioni o idee definite. Al contrario, procedono per intuizioni, accumulano tentativi, si guardano intorno, prendono quello che gli sembra funzionare, buttano via tutto il resto. La base di partenza resta nota, quell’incrocio ormai marchio di fabbrica tra la Francia elettronica dei Daft Punk e i paesaggi dance-pop di Giorgio Moroder. Quello che si accumula sopra, però, è ogni volta imprevedibile. E sorprendente, a questo punto, è come il risultato finale, il disco dall’inizio alla fine, abbia una sua identità riconoscibile, un percorso preciso e definito. Un risultato che per essere conquistato richiede, evidentemente, tempo.
Molto più che nei precedenti lavori targati Röyksopp, le voci in “Junior” hanno un ruolo di primo piano. I featuring muovono la scaletta, segnano le canzoni in profondità . Anneli Drecker è ormai quasi un membro aggiunto del duo, ospite già nel disco d’esordio e spesso compagna di tour. Non a caso la sua voce è quella che si inserisce in maniera più naturale, completando i brani, rendendoli finiti. Regala luce al funk oscuro di “Vision One”, spazio alle trame electro di “True To LIfe” e con “You Don’t Have a Clue” crea uno dei momenti più dolci e delicati del disco. Dolce, ma decisamente più marcato sul lato pop è anche “Miss It So Much”, che vede ospite Likke Li, mentre la voce di Robyn è perfetta per “The Girl And The Robot” e i suoi echi Depeche Mode. E’ Karin Dreijer, però, a lasciare il segno più profondo. La cantante dei Knife e del nuovo progetto Fever Ray, che già era stata protagonista nel precedente “The Understanding”, torna ospite in due brani: anima con forza l’incedere deciso di “This Must Be It”, disegna luci e ombre sulla sorprendente “Tricky Tricky”, dove ai suoni saltellanti dei Röyksopp si sovrappongono e nuove strutture spezzate e atmosfere inquiete.
Ma sarebbe un errore soffermarsi soltanto sulle canzoni che vedono ospiti alla voce. Gli strumentali “Silver Cruiser” e “Röyksopp Forever” raccontano di quanto i Röyksopp siano prima di tutto compositori di brani finiti e indipendenti. La prima è summa perfetta del suono Röyksopp, quasi un incrocio ideale tra le atmosfere dilatate di “Melody A.M.” e i battiti secchi che animavano “The Understanding”. La seconda è un intreccio in crescendo tra l’elettronica creata dal duo e il suono classico di un’orchestra d’archi: un esperimento, molto ben riuscito, che sembra già guardare verso strade future.
Poi c’è “Happy Up Here”, traccia d’apertura e singolo di lancio dell’album. Tre minuti scarsi per uno dei momenti più sorprendentemente gioiosi e solari che i Röyksopp abbiano mai creato. Un pezzo destinato a farsi spazio rimbalzando tra le pareti di parecchi dancefloor. E’ un inizio che spiazza per la sua immediatezza e regala più di un sorriso, ma è solo l’inizio. Più avanti si apre un percorso di suoni, voci e soluzioni che procede tra piege precise e svolte inattese. “Junior” è così, compatto ma sorprendente. La freddezza che può emergere da uno stile ormai rodato e conosciuto è scaldata ogni volta dove serve dalle nuove scoperte che i Röyksopp hanno conquistato nel loro tranquillo e calmo perigrinare.
Credit Foto: Stian Andersen, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons