Colin Meloy è un cantastorie. Nel senso più classico e letterale del termine. Raccontare storie è quello che ha sempre fatto, sin dai primissimi esordi, con i suoi Decemberists. Le canzoni che scrive sono narrazioni senza tempo di avventure per mare, battaglie e uniformi. Fantasmi, vendette e inganni. Personaggi surreali e bizzarri, amori tragici e tormentati. Nel loro EP d’esordio “5 Songs” c’è una canzone che si chiama “My Mother Was A Chinese Trapeze Artist”: solo un primissimo, già ben chiaro, esempio dei mondi strambi, curiosi, a volte anche crudeli, che i Decemberists sanno creare. Dopo quell’esordio si sono susseguiti quattro album e altre manciate di storie, cantate sempre in bilico tra folk figlio della tradizione e indie-rock saltellante. E si sono susseguiti anche segnali, che indicavano di volta in volta direzioni più vaste per la band di Portland, Oregon. Nel 2004 Colin Meloy e soci danno alle stampe l’EP “The Tain”: una traccia unica di quasi venti minuti che mette in musica un antico racconto tradizionale irlandese. Nel 2006 arriva “The Crane Wife”, disco la cui titletrack è una canzone in tre parti che rievoca un’antica fiaba giapponese. Considerato il percorso e visti i precedenti, insomma, non ci si stupisce a lungo per l’arrivo del nuovo disco “The Hazards Of Love”.
“The Hazards Of Love” è il titolo dell’EP con cui nel 1964 fece il suo esordio la cantante folk inglese Anne Briggs. Nessuna delle canzoni lì contenute aveva però lo stesso nome del disco. Così Colin Meloy, che di Anne Briggs e della scena folk inglese di quegli anni è grande fan, pensa di scrivere lui una canzone con quel titolo. Una volta cominciato, però, si accorge di avere tra le mani una storia troppo lunga e complessa per essere racchiusa in una sola traccia. “The Hazards Of Love” inizialmente doveva essere un musical: quando quel progetto è naufragato è diventato il nuovo disco dei Decemberists.
La storia è intricata e parla di solitarie fanciulle, uomini mutaforma, regine gelose, assassini perseguitati dai propri delitti, amori ardenti e tormentati, foreste incantate. Colin Meloy racconta e sceglie, come suo solito, le parole con cura, oscillando tra inglese arcaico e descrizioni di spietata crudezza. E non è da solo: Becky Stark dei Lavender Diamond interpreta Margaret, l’eroina della storia, mentre Shara Warden, ovvero My Brightest Diamond, dà voce in modo sorprendente alla gelosa Regina della foresta. Una rock-opera vecchio stile, lunga poco meno di un’ora per diciassette tracce complessive. Una volta si chiamavano concept album. Ed è proprio nell’epoca d’oro dei concept album, gli anni ’70, che il disco trova le sue influenze più evidenti e più marcate.
Oltre la storia e le voci, è infatti la musica ciò che più sorprende lungo il percorso di “The Hazards Of Love”. Mai si erano sentite così tante distorsioni in un disco del Decemberists: all’impianto folk acustico o semi-acustico, che resta la base musicale privilegiata, si affiancano suoni e soluzioni rock senza troppi compromessi, che sul principio non possono che stupire chi era abituato ai Decemberists più classici. Non mancano chiaramente i momenti più pacati, la serena “Isn’t It A Lovely Night”, la conclusiva “The Hazards Of Love 4 (The Drowned)”, nè le tracce più ritmate, dove il marchio dei migliori Decemberists esce fuori con chiarezza, come “The Hazards Of Love 2 (Wager All)” o “Annan Water”. Sono però gli episodi più duri a sorprendere, con le chitarre acustiche messe da parte e lo spirito dei Seventies che emerge sicuro e prende la scena: la percussiva “The Rake’s Song”, l’hard-rock di “The Wanting Comes In Waves / Repaid”, fino al crescendo prog di “The Queen’s Rebuke / The Crossing”.
Diventa evidente già dal primo ascolto: con “The Hazards Of Love” i Decemberists scelgono di fare un passo importante, ma anche azzardato e incoscente. Se un’evoluzione verso orizzonti rock più vasti e classici poteva essere prevista, la decisione e lo scarto con cui la band di Portland affronta questa rock-opera non possono non sorprendere. E’ un disco che rischia di scontentare tanti, per i forti richiami agli anni ’70, per l’eccessiva lunghezza, per la difficoltà dell’intreccio. E’ un disco che richiede pazienza e attenzione, doti rare per l’ascoltatore di musica del 2009. Rischi che i Decemberists si sono presi e che alla resa dei conti li hanno premiati, non solo per il coraggio della scelta in sè, ma anche per la compattezza del risultato finale, per la qualità delle canzoni, del linguaggio, degli arrangiamenti. Non è semplice nè immediato “The Hazards Of Love”, ma merita senza dubbio una possibilità . E una volta catturati dal flusso della storia può diventare davvero difficile riuscire a liberarsene.
2. The Hazards Of Love 1 (The Prettiest Whistles Won’t Wrestle The Thistles Undone)
3. A Bower Scene
4. Won’t Want For Love (Margaret In The Taiga)
5. The Hazards Of Love 2 (Wager All)
6. The Queen’s Approach
7. Isn’t It A Lovely Night?
8. The Wanting Comes In Waves/Repaid
9. An Interlude
10. The Rake’s Song
11. The Abduction Of Margaret
12. The Queen’s Rebuke/The Crossing
13. Annan Water
14. Margaret In Captivity
15. The Hazards Of Love 3 (Revenge!)
16. The Wanting Comes In Waves (Reprise)
17. The Hazards Of Love 4 (The Drowned)