Per me la copertina già dice tutto.
Un postmodernismo dai colori caramellati, una festa delle medie andara male, una fotografia scattata con una macchinetta usa e getta, un locale dopo un concerto dei Flaming Lips.
Azzecca garbugli della bassa padana, Les Fauves se ne escono con la seconda parte della loro trilogia “N.A.L.T.” (che sta per “Noise Arms Limitation Talks”), dal titolo “Liquid Modernity”, citazione rubata al filosofo polacco Zygmunt Bauman.
Un pozzo di sub-cultura condensato in undici tracce alienate e lo-fi.
La voce ‘sbilenca’ di Roberto “Pap” Papavero costituisce il collante per le sperimentazioni del quartetto sassolese, che spaziano tra elettronica pop, jazz, funky e dance, ma senza mai prendersi troppo sul serio. L’ironia è di casa (come pure nel precedente disco) anche negli stessi titoli delle tracce, impossibile dimenticare “Death of the Pollo” (oltre che per il suo ritmo incalzante ed ipnotico tra synth e batteria).
L’apertura del disco è affidata ad una dei pezzi più riusciti del disco “Everlasting Soup” coi suoi suoni distorti da tastiera (accompagnati da una voce pavementiana), che si tramutano in una ballata romantica che ricorda i Flaming Lips di “Yoshimi Battles The Pink Robots” nel singolo “Drops Drops Drops”, e si sdrammatizzano invece con la successiva “Funeral Party”.
Seppur i suoni a volte risultino un pò ridondanti nella prima parte del disco, la chiusura è invece affidata ad arrangiamenti maggiormente psichedelici e distorti (“Pitslicker” e “Back To The Anal Phase”, nonchè “Cold Shower Tide”, alla quale però si aggiunge una punta di 60’s beatlesiano).
La pecca del disco è forse un’eccessiva ricchezza di suoni che non consentono spesso una facile lettura della melodia, cosa che risulta di grande impatto in una dimensione live, ma disorientante all’ascolto casalingo.