Bastano qualche tastiera, una drum machine e il talento di tre ragazze accasate a New York per generare un piccolo pianeta indipendente. Quello delle Au Revoir Simone è un mondo sonoro dolce ed elegante, un punto luminoso nella variegata galassia elettropop. Alla base di ogni cosa una formula semplice, fondata su spontaneità e delicatezza, capace di dare vita e colori al ricco intreccio sintetico che riempie di volta in volta ogni disco, ogni canzone.
“Still Night, Still Light” è il capitolo numero tre per Erika, Annie ed Heather, e a questo punto sembra poco giusto prendere la prospettiva comune del ‘percorso’, della ‘strada’ o anche della ‘maturità ‘. Ancora una volta c’è una collezione di canzoni in cui ogni brano ha il proprio ruolo, il proprio peso specifico concreto, e niente è superfluo. La leggerezza con cui scorre l’ascolto non abbandona mai la presa, non si avvicina mai al terreno viscoso dello scontato o peggio ancora del trascurabile.
Le tre Au Revoir Simone allargano il campo. Conquistano sicurezza e decisione, senza abbandonare fascino ed eleganza, ed illuminano territori nuovi del loro mondo sonoro. C’è una solidità maggiore alla base delle canzoni, tanto da poter lasciare spazi ampi alle parti strumentali, a costruzioni piene, agli intrecci delicati delle tastiere. “Knight Of Wands” è una rincorsa di note sintetiche che cade nella trappola di un battito di mani, per riprendere un attimo più tardi, frenetica quanto prima. E “Tell Me”, in fondo alla scaletta, sembra quasi voler pensare al mondo della classica, prima di spiazzare tutti con le sue accelerazioni elettroniche. Il titolo così come la copertina non mentono: “Still Night, Still Light” si trova dopo il crepuscolo, prima però delle profondità notturne. La luce c’è ancora ma è soffusa.
La sicurezza che emerge chiara dalle canzoni, si rispecchia anche nelle parole, oltre che nelle voci, sempre incantevoli e luccicanti, delle tre newyorkesi. Do you know when you were already born / You were already you and I already me, cantano in “Take Me As I Am”. Un senso di serenità ed equilibrio raggiunto che attraversa tutto l’album. E’ raccontato ben chiaro nella bellissima “Shadows”: Anyone can answer their own questions / All you have to do is look inside. E riempie anche i momenti che sembrano più dolorosi, come in “The Last One”: I’m the one to forget / The one you won’t regret / So let me let me go / Because you don’t and you’ll never know.
Non deve essere stata messa a metà scaletta per caso “Only You Can Make You Happy”. Le tastiere si rincorrono per gran parte dei suoi cinque minuti di durata, affollando delicate lo spettro sonoro e sorrette dal ritmo sicuro e mai invadente della drum machine. Poi un nuovo intreccio si aggiunge, quello delle voci, dolci e sicure nel loro crescendo. Fino a quando quella sola frase entra in scena, quella che dà il titolo alla canzone. Altro, dopo tutto, sembra davvero non servire.