Un afoso Primo Maggio di due anni fa li vidi passeggiare per le vie del centro di Bologna, e luce fu. I passanti li guardavano come fossero alieni e loro semplicemente non prestavano la minima attenzione a nessuno: non uno sguardo storto, non un battito di ciglia, non una parola di troppo, solo superiorità . Con grande classe sono entrati in un ristorante del centro e hanno ordinato da mangiare. Non ho potuto verificare cosa ordinarono, però due sere più tardi gli Horrors diedero vita ad una performance memorabile, una di quelle che restano scolpite a fuoco nella memoria di coloro che hanno avuto il privilegio di prendervi parte.
Erano i tempi del primo tour e gli Horrors erano una band fatta di ragazzi che lottavano per emergere e ci davano dentro senza compromessi, producendo musica assolutamente fuori dagli schemi precostituiti da NME et altra stampa specializzata (che pure per un certo periodo di tempo ha osato metterli in copertina). Il successo di massa che tutti si aspettavano purtroppo per loro non è arrivato ma ancora oggi non un briciolo di quello spirito e di quella attitudine sono andati perduti, ed un disco come “Primary Colours” sta lì a dimostrarlo in tutto il suo splendore.
A livello mainstream (e forse anche a livello underground) nulla suonava come gli Horrors due anni fa e nulla suona come gli Horrors oggi, solo che “Primary Colours” non c’entra assolutamente nulla col loro fantastico debut album “Strange House”, e ciò è cosa buona e giusta. Sembra il disco di un’altra band: tanto era grezzo e spigoloso “Strange House”, tanto è dopato e curato nei minimi particolari “Primary Colours”. Vien quasi da pensare che i ragazzi abbiano smesso con anfetamine e siano passati ai tranquillanti e/o agli oppioidi (magari associati all’alcool per un’azione di geometrica potenza), ma probabilmente è solo questione di ‘hanno allargato i loro orizzonti’, ‘han voluto fare qualcosa di nuovo e ci sono riusciti benissimo’, ‘hanno messo nero su bianco il disco che hanno sempre avuto in testa ma che finora non erano ancora stati in grado di concretizzare’, ‘la produzione di Geoff Barrow dei Portishead ha fatto il resto e ne è venuto fuori quello che potrebbe anche essere classificato come capolavoro’.
è shoegazing? è post-punk? è kraut? è depressione? è Julian Cope sano di mente? è la descrizione calligrafica di una tossicodipendenza? Francamente non lo so, però “Primary Colours” inizia, se ne va giù in un sorso e ricomincia, perchè non si può fare a meno di riascoltarlo una, due, tre volte e ricominciare senza provare noia o stanchezza. Contiene tutto ciò che serve per essere felici nella propria paranoia: “Scarlet Fields” è quasi una “Smells Like Teen Spirit” versione 2.0 suonata a velocità dimezzata, “Who Can Say”, la title track e “I Can’t Control Myself” sono ciò che avrebbero potuto essere i New Order se Ian Curtis dei Joy Division non si fosse mai impiccato, “Mirrors Image” dimostra come la lezione impartitaci dai My Bloody Valentine sia tuttora valida e possa essere utilizzata in contesti più danzerecci, “Sea Within a Sea” dimostra come la lezione impartitaci dai Neu! sia tuttora valida e possa essere utilizzata in contesti più danzerecci, “I Only Think of You” probabilmente è dedicata al Tavor e dimostra come la lezione impartitaci da certi laboratori chimici svizzeri sia tuttora valida nonostante non possa essere utilizzata in contesti più danzerecci.
Insomma, un disco di qualità superiore che nemmeno stavolta porterà gli Horrors al successo di massa. Ma va benissimo così. Gli Horrors non sono i Jonas Brothers.