Alla fine del rumore, del caos, degli universi capovolti e dei torcicollo esistenziali c’è quest’uomo. Se ne sta lì immobile, serafico, immerso nella calma ottundente di una mattinata di maggio mentre si liscia la folta barba fulva con movimenti rituali e melliflui. Un raggio tiepido di sole sciabola diagonalmente dalla finestra di legno screpolato, dorando il viso iconico di Sam Beam. Lo scorgi nella penombra carica di pulviscolo seduto tra le poche cose della sua cucina essenziale, sedie di paglia, un tavolo di noce ed i pochi fornelli. I bicchieri sporchi della sera prima aspettano nel lavello. Fuori v’è il silenzio delle ampie campagne che vivono come uomini sfiniti mentre si stendono alla ricerca delle forze perdute.
Tre tocchi di chitarra e chiudi una canzone, sembra di tornare a lezione di punk ed invece ci si ritrova immersi nel canovaccio classico di chi in questi anni è diventato punto di riferimento della scena folk mondiale. Arriva così per tutti il momento di raccogliere quello che è tracimato nel corso di un’onorata decade discografica, quasi un omaggio a fan e sognatori di quell’America sospesa nel sonno della sua provincia infinita. Scavando tra cassetti polverosi e ripostigli in disordine, navigando nell’ebbrezza di vecchi ricordi e cose messe da parte, Sam Beam tira fuori quello che ha tutte le sembianze di un lungo promemoria, una testimonianza dello stile inconfondibile del cantautore della South Carolina.
E così mentre una fresca pioggia danza sui vetri del balcone in questo strambo inizio d’estate, amorevolmente inciampiamo tra le nenie agresti della prima parte del doppio “Around The Well”, quella più scarna, ossuta, spogliata di tutto e mostrata per quello che è senza trucchi di sorta: una chitarra ed una voce gentile dalla quale vorresti farti raccontare tutte le brutture e le meraviglie dell’universo per accettarle con un sorriso smorzato. Niente che non si sappia già di Iron And Wine, del suo impasto di sogni bucolici anni ’70 in salsa agrodolce, mischiato ad un’attitudine minimale e ad una vocazione al racconto davvero ammirevole.
Degne di nota sono le eccellenti cover sparse qua e là , a partire da “Peng! 33” degli Stereolab, passando per “Waitin’ For A Superman” dei Flaming Lips, per “Such Great Heights” dei Postal Service, fino ad arrivare a “Love Vigilantes” dei New Order, proposta in una superba rilettura che gela le ossa e fa esplodere le coronarie rinsecchite anche al cuore più distratto. Spulciando in questo cesto colmo di ciliegie prelibate si trovano anche pezzi scritti per colonne sonore, come la tripletta “The Trapeze Singer” ““ l’unica a finire effettivamente nella soundtrack di “In Good Company”-, “Belated Promise Ring” e “God Made The Automobile” .
Per chi avrà la pazienza di ascoltarla, quest’ultima raccolta di b-sides e mirabilia assortite da parte di Sam Beam saprà regalare squarci di sole che non potranno che accarezzare pensieri indolenti votati alla pigra contemplazione di nuvole e cieli limpidi. Per tutti gli altri si consiglia di aspettare il 2010, anno di prevista pubblicazione del prossimo disco, il quarto in studio, del cantautore americano.
Che il folk benedica tutti noi.
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Disco 1:
1. Dearest Forsaken
2. Morning
3. Loud As Hope
4. Peng! 33
5. Sacred Vision
6. Friends They Are Jewels
7. Hickory
8. Waitin’ For A Superman
9. Swans And The Swimming
10. Call Your Boys
11. Such Great Heights
Disco 2:
1. Communion Cups And Someone’s Coat
2. Belated Promise Ring
3. God Made The Automobile
4. Homeward These Shoes
5. Love Vigilantes
6. Sinning Hands
7. No Moon
8. Serpent Charmer
9. Carried Home
10. Kingdom Of The Animals
11. Arms Of A Thief
12. The Trapeze Swinger