Benedetto davvero tutto l’amore che c’è.
(“Benedetto Davvero”)
“…perchè dopotutto vivere significa accettare la perdita di una gioia dopo l’altra.
V. Nabokov (“Segni e Simboli”, da “Una Bellezza Russa”)
L’amore che uccide. L’amore che disinfetta. L’amore che è pazzia limpida. L’amore che tira giù. L’amore che è solo dolore ritardato. L’amore che mescola la carne. L’amore che non puoi calcolare. L’amore che sfregia i visi. L’amore che suda. L’amore che trema. L’amore che è meglio se te lo fai raccontare, ma devi sceglierti uno bravo, uno che ci è passato dentro e ne è uscito sconfitto alla grande.
Valentina ne ha amati tanti. Ora è stanca, delusa, confusa, consumata. Ha scelto di dormire, forse per sempre, di sicuro per un lungo tempo. Il rumore l’ha lasciato a Mario Pigozzo Favero, alle sue chitarre affilate, alle parole che incidono le viscere con perizia chirurgica, ai giri di chitarra che risalgono le risacche della quotidianità con illuminazioni improvvise. E non è che ci sia granchè da sorridere al tirar delle fila: la vita, i suoi occhi, i corpi e le anime sono tutti buttati in una grande arena votati ad un gioco al massacro, dove il vincitore avrà come premio solitudine eterna.
Finisce che i Valentina Dorme, giunti al terzo disco per la sempre eccellente Fosbury, virano dalle atmosfere spesse ed oscure degli album precedenti, approdando su palcoscenici tinteggiati da un rock di classe, sempre molto suonato, arrangiato in maniera sopraffina, ricercato nelle melodie, colonna sonora di testi che aprono squarci veloci come racconti di Carver. Merito anche della partecipazione di Fabio De Min dei Non Voglio Che Clara in cabina di regia, garanzia di qualità superiore, visore attento delle orchestrazioni e della pulizia dei suoni.
Nonostante ciò, rimane come un retrogusto amaro alla fine di ogni canzone, un’asciuttezza compositiva che in più parti rasenta la perfezione, quasi come se fossimo al cospetto dei Wilco in versione italiana. è una sensazione passeggera, che presto cede il passo a similitudini ben più pregnanti, laddove il disco si imbatte nelle angosce alcoliche di un salmodiante Cesare Basile o nella potenza elettrica degli Elettrojoyce che furono. Il suono è sempre compatto, possente, tutto affidato all’urlo di chitarre che vorrebbero disperatamente salvare, ma che alla fine diventano cenere e testimonianza dell’inafferrabile desiderio.
Muri di suono, impatti, la potenza di Giulio Ragno Favero ““ quest’ultimo solo un omonimo di Mario Pigozzo e produttore coi fiocchi qui anche in veste di chitarrista extra lusso – a dare velocità ed aggressività ad un disco variegato e sorprendentemente orecchiabile. Su tutto le parole, la poesia di Favero, colto chansonnier, che in un accattivante ritornello infila Mahaler e Bach con la stessa scioltezza con cui al Festivalbar si sentivano “‘Cuore, Sole e Amore’. “La Carne.” è un disco superiore, ispirato, emblema di un’Italia musicale che ha fame di altro, di nutrire cuore e cervello con intelligenza e sapienza. Qua ci trovi molto, frasi e storie spezzate, vicoli, cieli e girasoli ed un’unica, ineffabile verità : l’amore è per gli eroi.
Gloria agli eroi.
Gloria agli amanti.
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3. Il Terzo Uomo
4. Marco Ferreri
5. I Girasoli
6. Giulia Bentley In Estate
7. Trieste Centrale
8. Siracusa E Le Stelle
9. Olimpiadi Salesiane
10. La Buonanotte In Francese
11. Io Non Sono Forte