I Muse sono, da quando esistono, uno dei gruppi più interessanti del panorama rock mainstream inglese. L’evoluzione di Bellamy e soci li ha visti passare da un gruppo ruvido e prevalentemente elettrico ad una band piuttosto abile nel fondere il pop e il rock più commerciali con porzioni strumentali di indubbio valore e qualche tocco di synth/pianoforte sempre azzeccati. Dopo “Black Holes and Revelations”, l’album della maturità per alcuni e della rovina per altri, ci si aspettava forse un’ulteriore elaborazione del sound verso sponde più psichedeliche, sempre mantenendo l’attitudine da band da hit parade che ormai li ha accomunati a Coldplay, U2, Oasis e così via. Quello che “The Resistance” rappresenta è in realtà l’evoluzione più o meno naturale del percorso che già avevano intrapreso con l’album precedente, soprattutto di quella parte ‘ballabile’ (vi ricorderete “Supermassive Black Hole” e “Map Of The Problematique”) che partorì qualche gemma pop con melodie al limite dell’easy-listening come il singolo-tormentone “Starlight”.
Il disco si apre con una ballata che strizza l’occhio a MTV e i suoi spettatori pur facendo riferimento, forse neanche troppo velatamente, ai Battles (per chi li conosce). E’ “Uprising”, col suo ritornello molto orecchiabile, e una melodia di basso ripetitiva quanto azzeccata. Bel pezzo. Un altro brano dai toni più “dance” e dalle atmosfere piuttosto depechemodiane è “Undisclosed Desires”, sulle cui pretese da singolo si può scommettere. Inglese misto a francese in “I Belong To You/Mon Coeur S’Ouvre à Ta Voix”; era da tempo che non facevano una canzone d’amore, e di nuovo, come ai tempi di “Unintended”, ci azzeccano. Strofa e ritornello spensierati e banali ma di classe, prima di convertirsi in una tirata di piagnistei con un tocco di orchestra a dare gli accenti giusti. Il Freddie Mercury che c’è in Bellamy si sente ancora di più In “United States of Eurasia”, uno dei pezzi più belli del disco, che inizia con una sofferta intro di piano prima di esplodere in cori alla Queen (alcuni lo definirebbero quasi un plagio), per diventare una cavalcata con tastiera saltellata fino alla coda finale, denominata “Collateral Damage”, un minuto di assolo di pianoforte con chiari accenni alla musica classica.
Interessante quanto catchy il giro di tastiera della title-track “Resistance”, che pecca però di un ritornello troppo scontato. Si guarda al passato solo con “Unnatural Selection”, con un riffone di chitarra come non ne sentivano dai tempi di “Absolution”, prima di scadere poi in una parte centrale rilassata ma forse un po’ forzata. Saltando le decenti “Guiding Light” e “Mk Ultra”, si arriva ai tre pezzi conclusivi, che uniti formano la suite “Exogenesis: Symphony”, 10 minuti circa di musica apparentemente non collegata che non aggiunge ne toglie nulla al disco, ma dove l’orchestra da il meglio di sè.
Strumentalmente non serve aggiungere niente a quanto non si sia già detto. Chris Wolstenholme è un gran bassista, ed è in forma, così come Howard alla batteria, sempre più preciso, anche se qualche volta ripetitivo (niente di troppo evidente però). La chitarra sta scomparendo sotto l’incedere delle orchestrazioni, del pianoforte e degli inserti di synth però Bellamy alla voce fa tecnicamente un gran lavoro, rimessosi in gioco nel tentativo (non riuscitissimo) di rinnovare un po’ le linee vocali, unica vera pecca del disco. I suoni ci sono, del resto qualcuno aveva dei dubbi sul buon gusto dei tre?
“The Resistance” è un album onesto, un altro album di quei Muse imborghesiti che abbiamo già imparato a conoscere negli ultimi anni e, nel suo essere un miscuglio eterogeneo di pop epico e rock con qualche accenno di elettronica da classifica, e se non sarà il massimo in quanto ad originalità resta comunque un lavoro degno di nota, in barba a quei detrattori che sempre guarderanno male a chi, come loro, tenta di fare soldi con della musica seria (ma non sia mai criticare i Radiohead). Da ascoltare.
Credit Foto: Patrick McPheron