Ho la tendenza a guardare con ammirazione a chi se ne sbatte delle mode del momento e di ciò che spacciano come ‘cool0, trovo che sia indice di sincerità . Fare quello che si sente di fare, esprimersi nel modo più congeniale al proprio sentire dovrebbe essere l’ordine naturale delle cose. Eric D. Johnson con i suoi Fruit Bats fa esattamente tutto questo. “The Ruminant Band” è il disco perfetto per la domenica mattina, ripieno di melodie luccicanti ed andamenti pop non sempre troppo sostenuti, dalle trame soffici ed avvolgenti.
I quaranta minuti che il quintetto ci regalano non vivono, però, di momenti memorabili, risultando gradevoli, ma poco incisivi. E’ come osservare un bellissimo panorama da dietro un vetro appannato, capace di farne intuire i contorni e i colori, tralasciandone le sfumature. L’idea di base, già di suo non originalissima, viene portata avanti quasi per inerzia e, pur trattandosi di un’esperienza piacevole, non affonda le proprie zanne nella carne dell’emotività più profonda. Tecnicamente parlando siamo al cospetto di un folk-pop dai toni gentili e le tinte pastello che richiama i Page France pur senza attingere al panorama bucolico. Una spruzzatina di richiami west coast rendono title-track una b-side dei Fleet Foxes per poi svanire in soluzioni più ordinarie.
Un disco carino, ma che al cospetto di illustri colleghi di etichetta quali Iron & Wine e The Shins impallidisce fino a scomparire quasi del tutto. Ad oggi, con le decine e decine di album che escono ogni mese, è lecito pretendere qualcosa in più. D’altra parte, una bocciatura secca sarebbe eccessiva per un lavoro comunque gradevole. Una sufficienza tanto meritata, quanto poco entusiamante.