New York, estate 1994. Il sindaco sceriffo Rudolph Giuliani stringe la morsa contro barboni e piccoli criminali, il grunge finisce con Kurt Cobain, e con lui la voce di una generazione, mentre il gansta-rap raggiunge il culmine della sua popolarità e qualità con Notorius B.I.G., il testimone del ghetto, prima di celebrare qualche tempo dopo anche la sua morte.
Nei vicoli e nei parchi di una caldissima Big Apple si aggira il giovane neo diplomato Luke Shapiro (Josh Peck) con il suo carretto di gelati, utilizzato come copertura per un’attività più remunerativa, quella dello spaccio di marijuana. Grazie a questo lavoro Shapiro riesce ad aiutare la famiglia in procinto di sfratto, pagarsi la retta per il college, nonchè le sedute psicanalitiche con il dottor Squires (Ben Kingsley), eccentrico psichiatra ex sessantottino e padre della splendida Stephanie (Olivia Thirlby), amica del ragazzo, nonchè suo desiderio inconfessato.
Levine, al suo secondo lungometraggio dopo “All The Boys Loves Mandy Lane” (rimasto inedito in Italia), ci conduce nelle atmosfere dal sapore autobiografico degli anni novanta, quella delle audiocassette e dei cercapersone, del SuperNintendo e di Beverly Hills 90210, al centro di un’operazione nostalgia già da qualche tempo in voga negli Stati Uniti, e presto attesa anche da noi.
La sua è una commedia di formazione sentimentale e psicologica, un po’ forzata e sopra le righe, che si regge sulle interpretazioni convincenti dell’immenso Ben Kingsley – alle prese con l’inedito ruolo di pittoresco ed eccessivo psichiatra ““ che qui si dimostra eccellente anche nel genere comico, e del giovane Josh Peck, sdoganato per l’occasione dalla rete per ragazzi Nickelodeon, che non viene eclissato dal talento del suo navigato collega.
Le sbavature nella sceneggiatura non mancano, rivelano tutta la loro fragilità quando tentano di cimentarsi con le situazioni sentimentali e drammatiche, e rallentano in più parti un ritmo narrativo, che ben si sposa invece con la colonna sonora farcita di basi hip-hop dell’età dell’oro del genere.
In sostanza, Fa’ la cosa sbagliata è un film con molte buone intenzioni, che descrive ma non approfondisce, spinge l’acceleratore per poi frenare bruscamente, e si dimostra indeciso e confuso, nonostante qualche spunto interessante, un ottimo comparto tecnico e una buona recitazione complessiva.
Una sufficienza, seppur cerchiata in rosso, come si usava qualche tempo fa: un voto che ben si sposa con il clima nostalgico del film.