“Baarìa”, un’opera caleidoscopica nel tempo e nello spazio. La dimensione temporale è “dilatata ma di corsa”: va dagli anni Venti alla contemporaneità in maniera accelerata e a tratti rallentata. E’ come se il film seguisse più i tempi interiori del suo autore anzichè quelli dello spettatore, il quale non ha il tempo di conoscere fino in fondo i personaggi tanto da potersene affezionare. Lo spazio è si quello circoscritto del paesino di Bagheria, ma attraversato da una miriade di personaggi e situazioni. La prima parte del film è un vortice di immagini che seguono il ritmo della trottola che gira su se stessa e della corsa forsennata del bambino con cui si apre il film e che tanto ricorda il protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso”.
“Baarìa” è un film epico, corale, con una forte componente autobiografica (per stessa ammissione del regista). E’ un patchwork colorato, in cui predomina il rosso delle bandiere comuniste, del sangue, della passione, della lotta, dell’amore. Perchè di amore si parla: quello atavico per la propria terra, la Sicilia, e quello ancora più grande per il cinema.
Il film è un omaggio ai luoghi della memoria. I personaggi sembrano essere ricordi-flash trasformati in rapidi fotogrammi. Come quei frammenti di pellicola che il figlio del protagonista Peppino Torrenuova (Francesco Scianna) tiene fra le mani mentre diventa grande, alimentato dalla voracità per il cinema. Il fascino che i film hanno esercitato sul regista ritorna attraverso un continuo omaggio ai registi da cui ha imparato, da Sergio Leone a Fellini. Il proiettore, oggetto-fetticcio della cinematografia di Tornatore, occupa spesso la scena insieme alla macchina fotografica, al pennello: tutti strumenti che partoriscono visioni. Ed è proprio la visione la materia di cui è fatto il film: le uova rotte e i serpenti neri attraversano tutto il film, presagio di un destino nefasto. La mitologia, parte integrante della cultura popolare, permea le inquadrature di raccordo tra un evento e l’altro. Per alcuni versi “Baarìa”, però, è anche un film neorealista, con i suoi attori non professionisti presi dalla strada (i bambini, bravissimi, e gli anziani di Bagheria), e i molti attori provenienti dall’avanspettacolo (Ficarra&Picone, Frassica, Salemme, Gullotta e tanti altri). Numerosi, poi, i camei di attori professionisti (Donatella Finocchiaro, Michele Placido, Beppe Fiorello, Luigi Lo Cascio, Roul Bova e molti altri). A fare da cornice musicale a questo enorme e composito affresco è la meravigliosa musica di Ennio Morricone che stempera il ritmo concitato delle scene e regala respiro lì dove manca.
La macchina da presa è l’occhio scrutatore della realtà polverosa delle strade in cui bene e male si contrappongono: la seconda guerra mondiale e la mafia radicata ma solo accennata, di contro la nuova generazione, animata dalla voglia di cambiare il mondo. E’ quello che dice Peppino ‘il comunista’: Noi Torrenuova abbiamo un brutto carattere perchè vorremmo abbracciare il mondo ma abbiamo le braccia troppo corte. La cinepresa poi entra nell’intimità delle case, visita il letto di morte di alcuni personaggi, si sofferma sui dettagli come l’intreccio di tubicini collegati alla bombola di ossigeno che tiene ancora in vita il padre di Peppino, scruta il microcosmo familiare di quest’ultimo, di Mannina (Margareth Madè) e dei loro numerosi figli. L’infanzia occupa un posto d’onore: il film si apre e si chiude con una figura infantile e un giocattolo, la trottola di legno che alla fine della sua corsa vorticosa si spacca in due e lascia libera la mosca che era al suo interno e rimasta miracolosamente viva. E’ la liberazione della creatività , della vita ancora da costruire, nonostante la storia passata. In quest’ottica va letto l’epilogo ambientato nella contemporaneità nella quale Peppino-bambino si ritrova, dopo aver sognato tutta la sua vita, che è il film stesso. Si può imparare dagli errori del passato, sembra voler dire Tornatore. Peppino entra infatti nella casa che nel sogno è stata sua e ritrova l’orecchino di sua figlia, perso a causa di un suo schiaffo. Come Peppino può imparare dagli sbagli commessi, così la società odierna, fatta di rumore e alienazione, può guardare al passato per recuperare il bene, senza ricommettere i grandi disastri.