Starà bluffando, è il commento generale di fronte all’inebriato sergente Donnie Donowitz che, con passo calcato, arriva ondeggiando, spavaldo, davanti all’ufficiale nazista, troppo fedele al nazionalsocialismo per non patire la punizione dei Bastardi, ovvero una poco gradevole dipartita a suon di mazza da baseball, energicamente manovrata dal terribile Orso, seguita da una rapida ed esperta rimozione di scalpo.
Tarantino è di quei registi capace di scatenare nel pubblico una sorprendente frenesia di attesa, così rara nel mondo del cinema, ormai saturo di novità e stimoli.
“Bastardi Senza Gloria” narra, sotto forma di favola nera/distorta/astorica le vicende, durante la seconda guerra mondiale, dell’omonimo manipolo di soldati americani, destinati a svolgere un unico, semplice, compito: uccidere più tedeschi possibili, senza alcuna pietà , nè altro scopo se non quello di contribuire attivamente a ridurre, in modo sensibile, il numero dei militari teutonici (Non si fanno prigionieri).
Il titolo del film è un omaggio a “Quel Maledetto Treno Blindato”, di Enzo Castellari (in inglese appunto “Inglorious Bastards”). Come in ogni opera di Tarantino, le citazioni, sempre tradotte con mano superba e mai fuori luogo, non mancano: presente anche “Quella Sporca Dozzina”, di Aldrich, come la satira di “Vogliamo Vivere!”, di Lubitsch, oltre ad una costante atmosfera dal sapore western, evidentissima nella sequenza iniziale nella casa di campagna.
“Bastardi senza Gloria” è stato in questo periodo criticato a causa di una supposta differenza stilistica rispetto agli altri titoli tarantiniani. In realtà , al di là dell’argomento finora mai affrontato dal geniale regista, che conseguentemente porta a procedimenti inevitabilmente diversi, è innegabile riconoscere delle costanti, riconducibili ad un’impronta ben definita e consapevole.
L’azione, soprattutto nei momenti pulp è senza dubbio la solita felice e trascinante traccia di follia, celebre nella filmografia di Tarantino. Due sono le scene intrise di uno sporco fascino popolare e (illusoriamente) ruvido: la sparatoria nel pub, dove muoiono tutti, tranne il maldestro neo-papà , trucidato senza complimenti dopo aver recitato la prevista e beffarda funzione di conversatore farneticante. Nel finale, ancor più pazzesca è la situazione in cui si precipita: sala in fiamme, e Bastardi che trivellano inutilmente vittime già condannate.
Nonostante l’abilità nell’allestire i quadri in movimento, la più alta maestria di Tarantino si manifesta nella perfezione testuale. Da manuale sono i dialoghi, e le battute pronunciate dai personaggi. La sequenza iniziale infonde una serie di emozioni miracolosamente contemporanee: sorpresa, comprensione (per il francese), disprezzo (per il colonnello), speranza, delusione, ansia, orrore. L’ardore più estremo, il culmine della passione non si trovano nelle sparatorie, negli omicidi, o in qualsiasi altro episodio di ‘combattimento’, ma nella messa in scena della parola, nucleo fondamentale della poetica tarantiniana.
Commento sulla recitazione. Qualcuno dovrà prima o poi stabilire una motivazione scientifica per la quale ogni attore presente nelle pellicole di Quentin Tarantino, raggiunge la propria massima capacità espressiva. Il cast di “Bastardi Senza Gloria” giunge ad un livello corale pressochè irrealizzabile per qualsiasi altro regista.
La splendida Diane Kruger indossa mirabilmente gli affascinanti abiti della spia (con lei protagonista l’immancabile scena feticista con inquadratura ravvicinata del piede); Eli Roth gioca a fare l’attore in termini credibili e opportunamente schizofrenici, anche se il personaggio di maggior resa è indubbiamente il colonnello Hans Landa (Christoph Waltz), capace di interpretare l’essenza stessa del male, attraverso un contegno sospeso tra la crudele e simulata quiete, e la repentina esplosione sanguinaria.
Un appunto? Ad essere proprio saccenti, convince in tono minore, rispetto alle altre parti, l’Aldo Raine di Brad Pitt, troppo poco velenoso, non abbastanza “bastardo” con quella faccia palesemente benevola.
“Bastardi senza Gloria” rappresenta il film più maturo di Tarantino, considerabile persino il suo capolavoro, se fosse possibile tradire l’entusiasmo scatenato dall’intramontabile “Pulp Fiction”; in ogni caso, costituisce la conferma di un regista, forse l’unico, in grado di istigare gli spettatori, all’uscita dalla sala, a pogare senza ritegno.