Ammasso di distorsioni incoerenti con loro stesse, vociare lamentoso che si trascina lungo brani troppo lunghi di 2 minuti, mascherata punk che non fa ridere nessuno se non i loro conti in banca: i Nirvana sono la colonna portante di ciò che è sbagliato, indegno e ingiusto nel contesto generazionale di fine secolo. Cobain è il Cristo Pop che indica la terra promessa in un tunnel che è una spirale maledetta per il Nulla ! Viene voglia di strappare le cuffie del walkman a chi sul bus è assorto (?!) nell’ascolto di “Love Cut” e “Negative Creep” e chiedergli urlando: ‘non dimenticare che è la rabbia a generare progresso e non il crepitio lamentoso di eroi bruciati a vent’anni !’.
Invece la minoranza resta in silenzio ad ammirare questi delusi rivoluzionari (e non di certo ‘rivoluzionari delusi’ !) mentre si precipitano ad affondare le dita nelle banali lacrime del detrimento spirituale e si leccano le falangi sognando di morire per non essere dimenticati. Se “Nevermind” ce lo hanno tirato addosso, “Bleach” ce lo siamo andati a prendere e il Dio della Musica solo sa quanto male ci siamo fatti nel processo.
La prosa si è asciugata, io no ma sono passati quasi 20 anni da quando un adolescente in preda ai suoi giusti deliri sproloquiava contro il grunge e la ‘maledetta orchestra del Nulla’. Non ricordo se pensassi che il grunge ci era stato propinato dalla CIA per addormentare le nostre menti e violentare il nostro spirito e men che meno riesco a rammentare cosa ascoltassi di preciso all’epoca. Eppure ricordo chi er(avam)o e dove andava il mondo quando “Nevermind” ci arrivò dritto in faccia. Posso raccontare per filo e per segno l’odore di quei giorni e che tempo facesse a Roma tra la pioggia e il traffico del Tuscolano. Posso dirvi che sapore abbia la gioia di baciare una ragazza se ascolto “Breed” e sento persino sulle dita il velluto della sua gonna se I’m so happy because today I’ve found my friends….
Eppure odiavo questa gente ‘triste per contratto’ e le esagerazioni mediatiche di cui erano fatti oggetto. Questo era “Nevermind”.
“Bleach” era l’album di chi era andato oltre e aveva rimediato chissà come questa mezz’ora scarsa di formule rock elementari, di blues moderno e nudo squadrato dagli occhi dell’ennesima “‘Generazione X’. L’ennesima senza un ideale e la penultima prima di finirla con un secolo che doveva essere glorioso ma che si è poi rivelato tragico e breve.
La Sub Pop ristampa l’esordio della band di Seattle senza alcun motivo apparente e il dubbio che sia un’abile mossa di marketing è davvero in agguato. “Bleach” non è mai andato fuori stampa e lo si trova in qualsiasi negozio medio-grande di musica del mondo occidentale. La rimasterizzazione può essere solamente un male dal momento che è un album che deve avere un suono da $600 (tanto costò registrarlo all’epoca), deve scolorire col tempo e quasi appassire di ricordi tra i ricordi.
Il tutto è condito da una performance del Febbraio ’90 al Pine Street Theatre di Portland, Oregon ed è forse lì, più che sulle stesse tracce in studio, che risiede il vero spirito dell’album.
Inutile aggiungere cose che non siano già state scritte sui tabloid così come sui trattati di psicologia di inizio millennio: se la memoria non ci inganna devono essere passati 20 inverni e ognuno di loro ci sembra essere sempre più ingeneroso e lungo del precedente.