E’ la nuova opera surreale del regista di “Brazil”, capolavoro visionario del 1985. A differenza di quest’ultimo, “Parnassus – L’Uomo Che Voleva Ingannare Il Diavolo” ha una struttura narrativa decisamente più lineare, frammezzata da alcuni flashback attraverso i quali il Dottor Parnassus (un sublime Christopher Plummer) racconta la propria vita eterna, regalo/condanna del diavolo (un convincente Tom Waits). La figura demoniaca è più vicina a certi personaggi della Finanza o della Politica odierne che non a quelli delle Sacre Scritture. Tant’è vero che nel film di Gilliam il diavolo ha un nome comune, Mr. Nick, e non risulta eccessivamente odioso. Anzi. A tratti lo si trova addirittura simpatico. Del resto l’uomo è dotato di libero arbitrio, Satana può solo offrire tentazioni. Si può sempre scegliere ma per ogni scelta c’è un prezzo. Come per l’immortalità , la sfida accolta da Parnassus, condannato a vivere per sempre in cambio di qualcosa di molto prezioso.
Il patto col diavolo, tema di medievale memoria (dal Dottor Faust in poi), viene trattato da Gilliam con ironia e originalità , e s’intreccia con quello che è il fulcro del film: l’immaginazione, cardine dell’esistenza stessa (il titolo originale è The imaginarium of Doctor Parnassus). La difficile arte di raccontare storie ha una funzione sociale fondamentale: abbattere l’ignoranza per sostenere il mondo e non lasciarlo cadere nell’oblio. Il Dottor Parnassus è un cantastorie dotato di grandi poteri, regista teatrale di un’improbabile compagnia: un ingenuo garzone di nome Anton, un assistente nano saggio e scorbutico, una fanciulla bella e infelice. Quattro vagabondi a bordo di un carrozzone dall’aria lugubre, malmesso e anacronistico con all’interno un segreto: uno specchio aldilà del quale risiede il sogno o l’incubo. La dimensione onirica in cui Terry Gilliam ci conduce nei suoi film spesso ha, infatti, i connotati dell’incubo: colori brillanti possono lasciare il posto a improvvise colate di nero pece. Il fantasy può diventare orrorifico in un batter d’occhio. E’ quanto accade anche in Parnassus, dove lo specchio ha l’aspetto di un sipario, due tende attraverso le quali entrare e mettere in scena il proprio Io. Buono o cattivo non conta, perchè nessuno è solo l’uno o l’altro. Come Tony (il superbo Heath Ledger, prematuramente scomparso), uno smemorato bello e misterioso che si unisce alla compagnia e sembra portarvi una ventata di novità e fortuna. Heath Ledger si cala egregiamente nei panni del saltimbanco che attraversa sovente lo specchio/sipario per mettere in scena le sue diverse ed eccentriche personalità interpretate dai bravissimi Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell (scelta dettata dalla morte improvvisa dell’attore durante le riprese del film e perfettamente riuscita).
Il film di Gilliam presenta, quindi, un linguaggio metalinguistico molto spinto: l’idea del regista sulla necessità di narrare e alimentare l’immaginazione umana si (s)materializza nell’oggetto dello specchio/sipario. Al di qua di esso si mette in scena uno spettacolino ripetitivo e privo di creatività . Al di là della tenda speculare, invece, prende forma ogni volta una storia fantastica figurativamente ispirata ai quadri surrealisti di Renè Magritte e Salvador Dalì e che dimostra ancora una volta la straordinaria capacità visionaria del suo autore Gilliam. Sono i poteri della mente del Dottor Parnassus a creare altri mondi: poteri, questi, che appartengono a quei registi, sceneggiatori e narratori che, raccontando storie, fanno compiere agli spettatori un meraviglioso viaggio fatto di stupore e riflessione.