Siamo i primi a sostenere che una raccolta del materiale edito da Daniel Dumile attraverso i suoi vari alias e i rispettivi dischi sia necessaria; certamente accogliamo con benevolenza questo tentativo da parte della Gold Dust Media (si vocifera tra l’altro che la label sia stata aiutata nella compilazione della retrospettiva dallo stesso Daniel, ma come sempre quando si tratta del poliedrico artista inglese ogni notizia è incerta). Ovvio a questo punto, già lo state aspettando, è un ‘però’: infatti, per quanto corretta e sospinta da ottime intenzioni, una collezione su DOOM e tutte le altre incarnazioni del beatmaker e rapper londinese non può limitarsi a un solo dischetto.
Partiamo quindi coi limiti: “Unexpected Guest” dovrebbe rappresentare un buon compendio per collaborazioni, apparizioni in dischi altrui e remixes, ma alla fine ciò che abbiamo tra le mani sono quattordici tracce semplicemente grandiose, che coprono tutta la carriera del nostro, ma in maniera palesemente spuria (tanto per fare due esempi manca completamente un rimando tanto all’indimenticabile esperienza Madvillain, quanto all’esperimento in coppia con Danger Mouse dal nome DangerDoom).
I pregi son quasi scontati. Ciò che spicca subito all’attenzione è la qualità che il nostro riesce ad instillare anche in artisti un poco appannati, come i De La Soul dell’iniziale “Rock Co. Kane Flow”; ma non solo, notevole è anche la coerenza stilistica che Daniel Dumile persegue in tutti questi brani: che si trovi a collaborare con esponenti mainstream come Ghostface Killah (già Wu-Tang Clan, per i più distratti) o geniacci underground come il mai troppo compianto Dilla è sempre chiara e forte la sua impronta fatta di sentite radici jazz, gusto teatrale e reminiscenze fortemente dark (d’altronde non va mai dimenticato che almeno tre dei suoi alter-ego s’ispirano al villain più tenebroso e potenzialmente pericoloso di tutto l’universo Marvel, il Dottor Destino).
Per concludere avrete già capito che questo cd scorre via che è un piacere (e una perla come “All Outta Ale” non si dimentica facilmente), purtroppo però non raggiunge appieno lo scopo filologico che si era prefissato.