Mary Anne Hobbs è una delle figure principali del movimento dubstep: non è un’artista, ma una mente pensante estremamente lucida, appassionata ed instancabile. Ha contribuito con il suo programma radio su BBC1 a sviluppare prima e sdoganare poi il nuovo sound londinese; ne ha ospitato i principali artefici e, attraverso la Planet Mu, ha anche pubblicato una serie di compilation per fare il punto della situazione. Questo di cui vi stiamo parlando è il terzo capitolo, appena uscito, dal suggestivo titolo “Wild Angels” (nato da una battuta di Mary Anne riguardante Alice Coltrane), e pare nascere quasi come una risposta della label di Mike Paradinas alla celebrazione da poco avvenuta dei cinque anni di vita della Hyperdub. Ovvio che il risultato è meno monumentale, ma la nuova selezione della Hobbs si apre a un eclettismo inaspettato (per gli standard soliti, perchè la dj e conduttrice radiofonica vanta nel suo curriculum ascolti molto più che eterogenei).
Sicuramente è una sorpresa la traccia che apre il disco, ad opera di Mark Pritchard, che trasporta in questi cazzo di anni zero kosmische musik tra Tangerine Dream e Pink Floyd. Proseguendo troviamo chi declina funk siderale (Tranqill con il remix dub di “Payroll”, del lotto il mio brano preferito se vi interessasse), chi guida attacchi jungle dal retrogusto soul (una “LHC” di Brackles straordinariamente lirica nel finale), chi scolpisce noise elettronico sopra ritmiche sghembe (la minacciosa “Red And Yellow Toys” di Mono/Poly), chi svolge meravigliose progressioni techno con suoni dal gusto arcade (Nosaj Thing con “Ioio”), chi annega in nebbie narcotiche i delicati ingranaggi jazz di Lars Hornveth (“Sunken Foal”), chi incrocia idm opulenta con leggerissimo dream-pop (Darkstar, uno dei nomi più chiacchierati qui presenti, con “Videotape”) ed infine chi indugia in territori aspramente industriali già cari, sempre in casa Planet Mu, a Distance (la conclusiva e distorta “And Now We Wait” dei Legion Of Two).
“Wild Angels” conferma Mary Anne Hobbs come una delle figure centrali del movimento dubstep e di tutto il ribollente calderone elettronico che ne è conseguenza, non solo: è pure l’ennesima prova che questi suoni raccontano la più intima e visionaria essenza dei nostri anni.
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2. Hudson Mohawke – Spotted
3. Mike Slott – Knock Knock
4. Brackles – LHC
5. Gemmy – Rainbow Rd.
6. Untold – Discipline
7. Tranqill – Payroll (Paul White’s Clean Dub)
8. Architeq – Sleeping Bear Lament (TAKE Remix)
9. Rustie – Zig-Zag
10. Mono/Poly – Red And Yellow Toys
11. Hyetal – We Should Light A Fire
12. Starkey – Gutter Music V.I.P.
13. Darkstar – Videotape
14. Floating Points – Esthian III
15. Sunken Foal – Of Low Count And Light Pocket
16. Teebs – WLTA
17. Nosaj Thing – IOIO
18. Legion Of Two – And Now We Wait