Nel centro di quei tam-tuumb spiaccicati (ampiezza 50 chilometri quadrati) balzare scoppi tagli pungi batterie tiro rapido Violenza ferocia regolarità questo basso grave scandere gli strani folli agitatissimi acuti della battaglia Furia affanno orecchie occhi narici aperti attenti forza che gioia vedere udire fiutare tutto tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato sotto morsi schiaffi traak-traack frustare pic-pac-pum-tumb bizzzzarie salti altezza 200m. della fucileria.
Mi sembrava pertinente iniziare la recensione di 2012 riportando un brano del “Bombardamento ad Adrianopoli” di Filippo Tommaso Marinetti: la lettura della declamazione, una delle testimonianze fondamentali della corrente Futurista, offre la possibilità di affrontare direttamente i due aspetti principali, coincidenti con il pregio più alto e il difetto più rilevante, del film di Roland Emmerich.
Iniziamo dalle note negative. Stavolta è davvero troppo“… più o meno questo è il primo pensiero che coglie lo spettatore di fronte alla pellicola di un Emmerich che ha superato sè stesso (e si badi bene: l’accezione qui non vuol essere favorevole). Che il regista e produttore tedesco fosse particolarmente affezionato al genere catastrofico è piuttosto evidente dalla lettura della sua filmografia, ma 2012 è davvero la summa dell’eccesso, l’apoteosi dell’inverosimiglianza.
Forse Freud troverebbe un certo interesse professionale nello studiare un soggetto perennemente occupato a fantasticare sulle più svariate cause di distruzione del pianeta Terra. Se “Independence Day”, “The Day After Tomorrow” e ““ ma sì, pure lui! ““ “Godzilla”, non sono stati abbastanza letali per soddisfare il nostro insano desiderio di cancellazione umana, “2012” è la cura adatta!
Dopo alieni, nuove ere glaciali e mostri annientatori, ecco a voi la bella profezia dei Maya che, pare, stabilisca la fine del mondo per il prossimo 21 dicembre 2012; e se, per una volta, il Nostro, può vantare riferimenti scientifici così attendibili, li spreca con una pellicola che definire smodatamente irreale è un eufemismo. Il che non sarebbe poi così sbagliato; un film troppo verosimile non seduce il gioco alla sopravvivenza del pubblico, ma sbatte barbaramente in faccia le più terribili paure. Ben venga quindi l’invenzione in un racconto che non mira certo alla credibilità ma alla più eclatante esibizione. Forse però una minima autocritica il buon Emmerich la potrebbe fare riguardo ad un eccesso di misura: quando, durante una sequenza di traak-traack, pum-tumb, vari crash, esplosioni, voragini, e altre disgrazie riunite, lo spettatore rigetta la naturale empatia nei confronti dell’eroe in pericolo, augurandosi una sua liberatoria dipartita, probabilmente si è esagerato.
A ogni modo, non è del tutto corretto il rimprovero; qualcosa di autentico si rivela in “2012”: l’idea che, in una situazione drammatica come quella rappresentata, a salvarsi sarebbero solo i potenti e i ricchi.
Abbandonando la fastidiosa causticità finora espressa, parliamo del bello di “2012”: dal punto di vista visivo è uno spettacolo grandioso e trascinante. Alcune immagini mozzano il fiato: l’ondata gigantesca, il fuoco al parco di Yellowstone, il crollo della Basilica di San Pietro (solo per citarne alcune) provocano inquietudine ed emozione. D’altra parte, è indiscutibile come il cinema di Emmerich sia basato su un impianto scenico onomatopeico. Il film comunque fila via liscio come l’olio per le due ore e mezza di svolgimento; gli occhi brillano e lo stomaco sussulta ad ogni scoppio/fragore/boato.
La pellicola ha registrato notevoli incassi, tanto da vedere molti cinema riproporre la proiezione; la gente ne è uscita rinfrancata, proprio grazie all’inverosimiglianza di Emmerich, sicura che, nemmeno un’ipotetica futura fine del mondo, potrebbe mai offrire analoghe scene apocalittiche. Questo per dire: chi sono io per sputare su un film che, nonostante tutto, ha divertito ““ e parecchio ““ anche me? Lungi dal dimostrarmi critico snob e ipocrita, un convinto plauso al regista ‘baraccone’ più adorabile di tutti i tempi”… clap clap clap.