Rock’n’roll lose my soul!!
Fuck the white ones, the Black Keys got so much soul
Molte cose si possono tirare in ballo ascoltando un cd come questo, la prima che stordisce come una cannonata è sentire Ol’Dirty Bastard, componente del Wu-Tang Clan morto di overdose negli ultimi mesi del 2004, intrecciare le sue rime con Ludacris in “”Coochie”. Se invece siete cosi sconsiderati da fidarvi di me iniziate l’ascolto partendo dall’ultima traccia “”Done Did It”, capirete subito che questo cd vi travolgerà come una valanga. Insomma, rispetto a Gza e Black Lips questa è tutta un’altra storia. Aggiungiamoci i chili d’ erba che si è fumato Jim Jones in studio e avrete il quadro perfetto della situazione.
Blakroc è un matrimonio perfetto tra due bianchi assatanati di blues come Dan Auerbach e Pat Carney,e una mandria di gangsta niggaz pronta a spargere rime che spengono il fuoco appiccato da riff distorti, ritmi o troppo perfetti, o scoordinati; musica che scava ossessivamente nella anima più nera che ci sia.
Rock-Rap di alto livello, non si cade mai nella monotonia che un esperimento del genere poteva lasciar trasparire una volta l’opera si fosse rivelata nella sua completezza; e questo soprattutto grazie agli interpreti chiamati a lasciare la loro impronta vocale. La classe infinita di Mos Def in “”On The Vista” non fa altro che confermare il momento di grazia del cantante-attore, in “”Stay On The Fucking Flowers” Raekwon sembra fottersene della base psichedelica e sconnessa, lui butta fuori tutto d’un fiato quasi dovesse scappare da un revolver carico e il grilletto caldo, real bad boy. Il singolo “”Ain’t Got Nothing Like You” ti prende e non ti molla, tra Mos Def al ritornello e Jim Jones che sputa rime che spaccano, è uno degli episodi più attraenti dell’album. Feroce e impulsivo è RZA in “”Dollaz & Sense”; e non si può non citare Nicole Way alla quale bastano due parole in un ritornello come in “”Hope You’re Happy” e “”What You Do To Me” per far accapponare la pelle. Molto significative anche le intromissioni della voce di Dan Auerbach che sembra voler ricordare a tutti da dove vengono: il delta del Missisipi.
Potrei quasi dire che recensire i Black Keys o i loro progetti paralleli sia ormai diventato quasi noioso, non sbagliano un colpo; sicuramente per chi ascolta è un piacere immenso, ma ogni tanto un po’ di pane per i denti del recensore accanito ce lo devono dare. Quindi se proprio devo evidenziare un difetto, che alla fine dei conti finisce per essere una semplice questione di gusto, non digerisco molto i pezzi cantati da Q-Tip e Pharaoe visto le voci mega-effettate che fanno molto bling-bling e zero Blakroc.