Al di fuori dei confini giamaicani la figura di poeta dub più nota è il capostipite Linton Kwesi Johnson ed è opinione piuttosto comune che la dub-poetry sia una pratica maschile. Per quanto queste due affermazioni non siano prive di verità , mi trovo tra le mani un disco che smentisce entrambe. Jean Binta Breeze ha poco più di mezzo secolo alle spalle, una carriera come scrittrice, regista teatrale e coreografa, numerosi premi per le sue opere e pure due dischi: durante il 2009 ha collaborato col bassista e produttore Dennis Bovell (musicista proveniente dalle Barbados e storica figura del dub inglese) e l’artista elettronico italiano Marzio Aricò per dare vita a un nuovo lavoro, “Eena Me Corner”. Opera che, data la genesi quasi tutta italiana, si avvale delle traduzioni dei testi sul libretto da parte degli studenti del Master di II Livello In Testi Post-Coloniali In Lingua Inglese della Facoltà Di Lingue E Letterature Straniere di Pisa.
Nei dodici brani dell’album possiamo trovare tutte le sfaccettature del pensiero di Jean Binta Breeze: l’apertura è addirittura affidata alla rielaborazione di uno degli scritti più famosi e importanti dell’autrice, “Riddym Ravings” (intitolata qui “Mad Woman”), storia tra metafora e realtà (lei stessa soffre di una leggera schizofrenia) di una donna che sente una radio nella propria testa e non riesce ad ambientarsi nella nuova realtà nella metropoli in cui ora si trova, il tutto sorretto da un gusto digitale e apocalittico che non avrebbe stonato nel disco di Kode9 & The Spaceape, il tutto raccontato attraverso un ispirato flusso di coscienza e un ritornello pressochè commovente nella sua orecchiabile intensità .
Il tappeto musicale sopra cui viaggiano le preziose liriche della poetessa giamaicana è raffinato e rispettoso, cosciente del proprio impegnativo compito, ma non per questo rilegato a mera compresenza: lo troviamo che scorre tradizionale e massiccio nella bellissima “Testament”, meravigliosa confessione materna di sopravvivenza e amore. Come si premura di sottolineare la cartella stampa, non mancano momenti dubstep e, oltre alla già citata “Mad Woman”, spicca prima “Dawn”, indolente e trascinante ambient minimale per descrivere la quotidiana epifania del risveglio, poi il rotolare sintetico di “Grandfather’s Dream”, racconto di famiglia e migrazioni ricco di vivide immagini, infine la conclusiva “Mother Africa”, trionfante e monumentale estasi sacrale tra bassi profondi ed elettronica avveniristica, contemporaneamente omaggio alla propria storia e atto d’accusa alle società capitalistiche per lo sfruttamento e l’abbandono del continente africano.
Merita un ultimo appunto l’atmosfera cupa e le parole risentite e sincere di “Third World Blues”, capaci di raccontare il sapore della sconfitta con la volontà di non accettare mai quella sconfitta.
“Eena Me Corner” si pone come un ottimo inizio per il 2010, come un disco imperdibile, come il primo passo della riscoperta di un’artista che merita questi, altri e più alti onori: speriamo dunque che il ritrovato interesse per la combattiva poetessa giamaicana possa favorire non solo un tour, ma anche la necessaria pubblicazione delle sue opere in italiano.
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2. Dawn
3. Eena Me Corner
4. For Hope
5. Simple Things
6. Testament
7. Aid Travels With a Bomb
8. Grandfather’s Dreams
9. Mermaids
10. Third World Blues
11. I Poet
12. Mother Africa