Gil Scott-Heron è tornato, me lo sentivo, lo aspettavo al varco. Anelavo a questo momento da troppo tempo: anche se la vita non è stata troppo indulgente con questo genio maledetto, dalla lingua acuminata e dall’anima grande quanto i Campi Elisi, troppo presto risucchiato nel vortice della sofferenza provocata dalle droghe artificiali e dal buio tagliente come un rasoio di una cella umida e spietata, non poteva finire così, no. Il poeta ha conosciuto l’inferno, ha patito pene inenarrabili, ma poi, alla fine, è rinato dalle sue ceneri come un’Araba Fenice, si è liberato dalle catene del dolore e della commiserazione come un novello Prometeo; solo che il fuoco da lui rubato non è la sapienza degli dèi indifferenti e sprezzanti del genere umano tutto, no: è lo spazio insondabile dei suoi affanni e delle sue miserie, che risiedono nella sua anima martoriata, nelle sue spoglie scheletriche di mortale. Mai come questa volta un disco ha comunicato così tanta vita, così tanto fulgore, così tanta catarsi: “I’m New Here” è tutto questo ed anche più.
E’ il suono dell’anima che si stacca dal corpo e che si libra in alto, possente, come un Johnny Cash oscuro, che medita sulla caducità dell’esistenza (l’incredibile rilettura del classico di Bill Callahan “I’m New Here”, invero lancinante): un magma ribollente di fregolii di elettronica, di frenetici jive fantascientifici (“New York is Killing Me”), di dub poetry affilata come una lama (“On Coming From a Broken Home”, “Running”), di confessioni a cuore e mente aperti, quasi il resoconto di una seduta psicanalitica (“Your Soul and Mine”, “The Crutch”) al ritmo dei Portishead che sembrano aver smarrito la propria identità , alla ricerca di qualcosa che possa riscattare la propria misera esistenza di esseri destinati al supplizio eterno.
Gil Scott-Heron disvela attraverso la sua voce martoriata al catrame, memorie di un passato pieno di afflizione e patimenti, conscio che una volta ritrovata la propria libertà , ci sia il rischio di ritrovarsi di nuovo dinanzi alle porte dell’Inferno, perchè, parafrasando il grandissimo Sartre: “L’Inferno sono gli altri” (“Me and the Devil”). Ma non tutto è perduto: l’amore, solo l’amore può riscattare l’uomo martoriato, come dimostra la splendida, abbacinante rilettura del classico “I’ll Take Care of You”, una ballata che si staglia al di sopra del tempo e dello spazio, toccando le corde più profonde dell’anima, come farebbe uno Scott Walker rinchiuso in un limbo di solitudine e rimpianto, ma con la speranza nel cuore di riabbracciare la propria amata, promettendole che si prenderà cura di lei, sempre.
“I’m New Here” è un disco clamoroso, da amare senza riserve o da respingere in toto. Dipende solo da voi, se vogliate vivere pienamente o semplicemente sopravvivere, la scelta è solo vostra.