Io: un Carlo Verdone più discreto e pacato che divide la scena con Lara, una La(u)ra Chiatti decisamente più matura. Loro: l’esilarante Sergio Fiorentini dalla voce inconfondibile; Angela Finocchiaro come sempre brillante e incisiva, nonostante la piccola parte; e poi Marco Giallini che interpreta un broker cocainomane e Anna Bonaiuto, una psicoterapeuta nevrotica; e ancora una ragazza in piena ribellione adolescenziale; la giovane e procace moglie ucraina di un settantenne; tre prostitute africane; protettori e vicini di casa impiccioni. Insomma un affresco umano a dir poco colorato che qualcuno potrebbe definire un vero manicomio! Si sorride, certo, e a volte (poche) si ride pure ma quest’ultimo film di Verdone è diverso dagli altri, è più intimo. E’ un’opera dedicata al padre morto durante le riprese del film stesso e la vena malinconica è spesso percepibile.
La psicoanalisi, poi, si insinua lentamente tra le righe di una sceneggiatura forse non pienamente sviluppata. Anche i temi importanti (come le minoranze etniche) e alcune posizioni della Chiesa che Verdone critica (sull’Aids e l’uso dei contraccettivi, per esempio) sono solo accennati. Sembra tutto abbozzato ed embrionale a causa di una comunicazione con troppe interferenze e per questo destinata a rimanere irrisolta. Probabilmente il regista, pur volendo parlare della famiglia e dei valori cristiani, alla fine mette in scena l’incomunicabilità del nostro tempo. Carlo Verdone veste i panni scuri di Padre Carlo, missionario in Africa che, tornato a casa in preda a una crisi spirituale, cerca di comunicare agli altri il conflitto che lo tormenta. Nessuno, però, sta ad ascoltarlo, ognuno preso dai propri problemi e dalle proprie manie, nevrosi che accomunano i tanti personaggi della cinematografia verdoniana, in questo caso meno caricaturali e grotteschi. Niente a che vedere con la parodia presente in film come “Un Sacco Bello” o “Bianco, Rosso E Verdone”.
Il senso di disagio e alienazione del protagonista ricorda invece quello di Don Giulio ne La messa è finita di Nanni Moretti. Roma, che in entrambi i film è la città in cui fanno ritorno i protagonisti, risulta essere più invivibile dell’Africa o della Terra del Fuoco. Indubbiamente il punto di vista di Verdone risulta più addolcito (e a tratti buonista) rispetto a quello di Moretti tanto da concludere la storia con un happy end che però non slega il nodo dell’incomunicabilità . Per qualche minuto per i personaggi di Io, loro e Lara sembra più facile comunicare a molti km di distanza anzichè sotto lo stesso tetto. Ma è solo un momento, poi le interferenze tecnologiche prendono il sopravvento, interrompendo quel labile legame familiare instauratosi più per la felicità dello spettatore che per reali presupposti. O perlomeno questa è la sensazione davanti a una cartolina natalizia con la famiglia di rosso vestita.