C’è una teoria, che vuole che i Gorillaz siano anti-darwiniani. Questa teoria si basa su un’ aforisma di uno scrittore/regista occhialuto e brillantemente ironico che recita più o meno così: Il vantaggio di essere intelligenti, è che si può far finta di essere stupidi quando si vuole. Che adattato a questo progetto di Damon Albarn arrivato ormai al terzo disco sotto, (sempre meno) mentite spoglie di cartoon in 3d potrebbe voler dire: avete presente i Blur, il brit-pop, gli album di world music con musicisti africani strepitosi, le colonne sonore per opere teatrali in cinese mandarino, i side project che valgono molto di più del 90% di qualsiasi altro gruppo vero composto con altre 3 leggende musicali? Ecco, un genio indiscusso con più di 20 anni di carriera insomma. Ma se volessi un po’ di svago? Questa ovviamente è solo un’ipotesi. Anche perchè fare il ‘cretino’ non è che gli riesca troppo bene. Vero che sulla “Plastic Beach” ci si arriva, dopo la tempesta orchestrale, con Snoop Dogg che gioca sull’assonanza beach/bitch. Ma poi la storia cambia.
Uno degli obbiettivi dichiarati di questo lavoro è raggiungere le masse, sfruttando la popolarità mainstream acquisita con i precedenti due dischi, e smuovere un qualcosa nella generazione X-factor. Come a dire, se proprio dovete ascoltare musica commerciale che strizzi l’occhio all’elettronica meglio questo moderno pop d’autore, che robacce Timbaland o peggio ancora. Di fatti Albarn si fa aiutare da molti ospiti, praticamente quasi uno per ognuna delle 16 tracce, che suonano sempre coerenti nonostante l’apporto di personalità molto diverse. Per la categoria rappers ci sono esponenti di qualità , e dopo il benvenuto sull’isola, di Snoop, ci sono gli inglesi Kano e Bashy che cavalcano le melodie di tastierine casio introdotte inspiegabilmente bene, dalla National Orchestra for Arabic Music. Stessa categoria, più un gigante soul come Bobby Womack nel ritornello, per le rime di Mos Def nel singolo “Stylo”, che oltre all’ orecchiabile basso pop-funky aggiunge anche il video con Bruce Willis, più di così? Seguono, a suggellare le collaborazioni rap, i Dela Soul, accompagnati dalla voce di Gruff Rhys (Superfurry Animals) nella colazione in un mattino di sole di “Superfast Jellyfish”, raro sprazzo di allegria nel melanconico animo di Albarn. Che riaffiora nella rilassante ballata, una pace con la melodia, che ricorda vagamente i The Bad The Good and The Queen.
La voce sdraiata su un soffice tappeto musicale che si trasforma nell’elettronica surreale degli svedesi Little Dragon. Senza dubbio uno degli episodi degni di maggior nota di “Plastic Beach”. Un pezzo antitetico viene subito dopo, dance da ballare con l’apporto mancuniano di Mark E. Smith questa volta. L’ordine cronologico delle tracce porta all’ennesima svolta inaspettata. “Some Kind of Nature” contiene la più eclatante delle partecipazioni, ovvero Lou Reed, che con la sua voce distaccata dona un tocco straniante al contesto spensierato del brano, che si basa su un ritmo di piano-hip-pop non molto tradizionale, ma efficacie. La parte migliore dell’album si chiude con la conseguente “Melancholy Hill”, uno straordinario, nel senso di non-ordinario, omaggio ai synth anni 80′ che furono dei Pet Shop Boys, per esempio. Divertente e malinconica, ironica e seria, emblematica del concetto di “verità di plastica”. Le altre 6 canzoni che mancano alla fine di questo nuovo lavoro dei Gorillaz rischiano seriamente di ripetersi e perdersi un po’ nella noia. Sedici tracce per un disco già piuttosto ostico, lo rendono ancora meno digeribile e godibile. A rigor di cronaca citiamo una canzone su misura a testa, e seconda collaborazione, per l’alternative hip-hop di Mos Def, per il modern-soul di Bobby Womack e per un’altra stupenda eletro ballata con i Little Dragon. Infine, non a caso, il pezzo più schitarrante, cela agli strumenti la presenza degli ex- Clash Paul Simonon e Mick Jones.
Insomma dietro all’alter ego virtuale di 2-d e compagni, si può sperimentare senza fronzoli intellettualoidi, anche questo lato più elettro, più black, e decisamente eclettico della sfaccettata e straripante personalità di un personaggio immenso come Damon Albarn. Quello che però non si può nascondere è l’innato talento per qualsiasi cosa faccia, o gli vada di fare.