La fonte letteraria d’ispirazione, “Alice Nel Paese Delle Meraviglie”, un sicuro successo; la firma di Tim Burton, una garanzia; il cast prometteva bene… eppure qualcosa non va proprio, nell’ultima fatica del regista californiano. L’interpretazione della protagonista Mia Wasikowska (Alice) non convince pienamente; Johnny Depp (Il Cappellaio Matto) è sempre brillante, ma questa volta non raggiunge i suoi soliti e alti livelli d’interpretazione; Anne Hathaway, insolita nelle vesti di una regina bianca stucchevole, risulta fintamente finta e perciò irritante. Solo Helena Bonham Carter conferma senza riserve il suo carisma, interpretando il meraviglioso personaggio della macrocefala Regina Rossa.
Magica l’atmosfera fiabesca alla Tim Burton, questo si, per la sua comprovata capacità di catapultare lo spettatore in mondi onirici e simbolici, così come accade ad Alice, aiutandosi indubbiamente attraverso coinvolgenti effetti speciali. La realizzazione tecnica del film e la tecnologia del 3D, infatti, rendono “Alice In Wonderland” più entusiasmante di quello che effettivamente è. Non mancano, comunque, momenti di totale abbandono al sogno (e qualche maligno potrebbe dire anche al sonno) che Burton e Carroll, prima di lui, hanno meticolosamente costruito, uno con le immagini in 3D e l’altro con le parole. Come il volo dei due poveri gemelli rapiti da un colorato uccello preistorico e portati al castello della Regina Rossa sorvolando una profonda vallata fagocitante.
Le intenzioni erano dunque buone ma probabilmente il regista, questa volta, non è riuscito a fondere le esigenze dell’industria hollywoodiana con il contenuto dei due libri di Lewis Carroll, “Alice Nel Paese Delle Meraviglie” e “Attraverso Lo Specchio”, senza evitare il rischio di spersonalizzare la sua opera. Il risultato è un film assai lontano dallo stile tipico del regista. Che è la delusione più grande per chi ha amato film come “Edward Mani Di Forbice” e “Big Fish”. Troppi clichè e pochi momenti veramente esilaranti, quest’ultimi legati perlopiù all’apparizione dei vecchi grotteschi personaggi, come quella dell’eccentrico Cappellaio Matto e del coniglio pazzo con i loro non-dialoghi strampalati; o quella dei due gemelli che parlano “alla rovescia”; oppure quella del Brucaliffo con i suoi oracoli incomprensibili: tutti accomunati da un uso della parola senza un senso apparente e codificabile dai più, e per questo immensamente affascinante!
In definitiva è vero che molto spesso, quando le aspettative sono troppo alte ed eccessivamente alimentate (per esempio da una strategia promozionale insistente), finiscono per andare deluse… e questo è accettabile, ma quello che risulta veramente deludente è la sensazione di aver visto troppo ordine all’interno di un’opera in cui proclamava la sua follia come uno stato di grazia: In fondo tutti i migliori sono matti dice il padre di Alice all’inizio del film, peccato non aver seguito questa strada.