Cos’altro può inventarsi uno come Matthew Herbert? Ovviamente un disco di glitch-pop che neanche nel 2002, ma fatto con la solita classe che contraddistingue il personaggio. Un disco in cui Herbert suona ogni strumento e canta pure, con risultati davvero soprendenti (soprattutto se pensiamo che il glitch-pop è un genere-non genere che non ha più nulla da dire da almeno cinque anni, ma Herbert non è il primo nerd che passa e si mette davanti al laptop a comporre musica). Un disco che più che un disco è un diario di viaggio in cui ogni brano è dedicato ad una città differente. Non fa una piega.
Ecco, “One One” è proprio tutto questo, con in sovrappiù il fatto che è la prima parte di una trilogia che comprenderà anche un’opera basata su samples sonori registrati tra il pubblico durante una sua esibizione ed un’altra basata su samples raccolti in un allevamento di maiali. Non riesco a capire il nesso tra questi tre aspetti della trilogia se non che Herbert non ce la fa proprio a fare qualcosa di normale come fanno (quasi) tutti nel mondo della musica, eppure “One One” è un disco estremamente eclettico, che suona alla grande (sicuramente molto più di tanti altri attualmente ben più celebrati da riviste e siti specializzati), ha un gradevole retrogusto jazzato e soprattutto non è snob come purtroppo sono tante altre opere dello stesso genere. Tanto per dire, “Leipzig” è un brano estremamente accessibile e dopo tre ascolti ti trovi perfino a canticchiarne il ritornello, “Dublin” sembra uscita dal repertoro della Penguin Cafe Orchestra ed è in grado di incantarti per la sua bellezza, “Porto” è retro-pop psichedelicissimo che è in grado di coinvolgerti nonostante sia una proposta musicale alquanto ostica per l’ascoltatore medio, e via discorrendo.
Purtroppo “One One” passerà inosservato. Troppe proposte musicali in giro attualmente, troppo poco tempo per soffermarsi ad assaporarle nei minimi dettagli. Un disco del genere avrebbe dovuto uscire parecchio tempo fa per riuscire ad ottenere un minimo di riscontro commerciale, però ad uno come Herbert non credo che importi un granchè del riscontro commerciale. Sempre un passo avanti anche quando si dedica a generi musicali che un tempo sembravano essere la cura di ogni male mentre oggi non si fila più nessuno.
Photo: Bandcamp