Ah, i bei tempi del vinile! Non è uno sfogo di un nostalgico estremista, anzi, sono sempre stato per l’ineluttabilità del progresso che spesso ci rende le cose più comode e a portata di mano, come il tasto ‘skip’ che ci permette di saltare una canzone a noi poco gradita. Questa cosa da una parte svilisce un po’ il valore dell’opera, la cui scaletta si presuppone sia frutto di una precisa scelta artistica, d’altro canto è pur vero che i dischi spesso sono troppo lunghi ed inevitabilmente soffrono la presenza di alcuni riempitivi. Ecco a cosa servivano i lati b dei singoli di una volta: per regalare ai fan qualche canzone non ritenuta degna del disco compiuto. eccezion fatta per alcuni casi storici di brani di fama pluriplanetaria, come tante cose dei Beatles, “Hey Jude” su tutti.
Il preambolo di cui sopra è perchè Angus & Julia Stone hanno stoffa a sufficienza per distinguersi nel foltissimo ambito del folk-pop contemporaneo, ma hanno un po’ esagerato con la lunghezza del disco, che si attesta sui 66 minuti. Eppure la doppia linea vocale, quella maschile vicina a Josh Rouse e quella femminile in stile fanciullesco à la Joana Newsom, disegna morbide traiettorie imbrigliate in un romanticismo che fa della ballata elettroacustica la sua massima espressione. “Down The Way” brilla di luce propria in diversi passaggi, soprattutto quelli più scarni ed intimisti, mentre si perde in riempitivi scritti col pilota automatico in altre occasioni. Non è un disco che stanca, ma non riesce a tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore per l’arco della sua durata e alcune cose diventano solo un piacevole sottofondo.
Un’occasione sprecata di avere tra le mani un gran bel disco, elegante e formalmente impeccabile, di zucheroso folk contemporaneo. Il talento c’è, solo che è troppo diluito nella durata della scaletta. Ai tempi del vinile sarebbe stato diverso.