Avevo in mente di cominciare questa recensione con un’arguta riflessione sui modi che la musica trova per riflettere lo spirito dei tempi: le strade attraverso cui suoni, stili, generi diventano via via popolari, fino a fondersi con un’epoca e creare con essa un legame indissolubile. Certi suoni sono ‘anni ’80’, certe atmosfere sono ‘anni ’60’ e così via. Da lì il ragionamento sarebbe poi arrivato ai Canadians e alle loro canzoni, dirette senza ripensamenti verso un periodo preciso (diciamo la seconda metà  degli anni ’90) e costruite intorno ad uno stile definito (chiamiamolo power pop). Il tutto però, davanti a un disco come “The Fall Of 1960”, suona terribilmente serioso e inadeguato. Una contestualizzazione forse necessaria, ma in fin dei conti grigia, capace di fare ombra su un album tutt’altro che scuro.

Sono altre allora le cose da raccontare. Innanzitutto che la band veronese arriva al secondo disco senza perdere un briciolo della propria freschezza e decisione. Non solo è lampante quanto i Canadians si divertono a suonare la musica che suonano, ma è anche ben chiaro che sanno molto bene quello che fanno. Canzoni come “Carved In The Bark” o “The Fall Of 1960”, giusto per dirne un paio, sono tutt’altro che facili ed elementari costruzioni: hanno in sè un nucleo immediato e spontaneo, ma attorno a questo nasce un lavoro di arrangiamento nient’affatto banale. Il tratto distintivo forse più forte dei Canadians sta proprio qui: ogni brano è pensato e suonato con grande cura e attenzione, cosa non del tutto scontata considerando che il genere in questione non disdegna certo approcci anche molto semplici e asciutti. La band veronese è capace invece di combinare le due cose: immediatezza e semplicità  da un lato, arrangiamenti ben lontani dall’essere scontati dall’altro.

Arrangiamenti che in questo secondo disco si aprono ulteriormente rispetto all’esordio, la presenza delle chitarre controbilanciata con forza maggiore dagli altri strumenti, in particolare tastiera e sintetizzatore (“A Great Day”, “Leave No Trace”, “Kim The Dishwasher”). C’è una piacevole deviazione dal percorso tracciato con “Yes Man”, in cui il tastierista-e-multistrumentista Vito passa alla voce, c’è la veloce e appiccicosa “The Richest Dumbass In The World”, e non mancano episodi intensi e rilassati come “The Night Before The Wedding” e “Rain Turns Into Hail (And Then The Sun)”.

La mia preferita di “A Sky With No Star”, il primo disco dei Canadians, era “Find Out Your 60’s”, e mi piace pensare la nuova citazione degli anni ’60, questa volta addirittura nel titolo dell’album, come qualcosa di più che una semplice coincidenza. Si è detto all’inizio power pop e anni ’90: due cose che trovano radici profonde proprio nei 60s e nella passione per le melodie ammiccanti e solari che quel decennio ha liberato. Allora il punto, forse, è proprio questo: musica in apparenza facilissima da etichettare e posizionare in una casella precisa, che però guarda altrove. Pensala come vuoi, sembra voler dire all’ascoltatore distratto. “Sono più di quel che credi, e se non lo noti in fondo mi interessa poco. Esco a prendere l’ultimo sole della giornata. Non so quando torno”.

Cover Album

The Fall Of 1960
[ Ghost – 2010 ]
Similar Artist: Weezer, The Posies, Grandaddy, The Apples In Stereo
Rating:
1. A Great Day
2. Leave No Trace
3. Carved In The Bark
4. The Night Before The Wedding
5. Yes Man
6. Rain Turns Into Hail (And Then The Sun)
7. Kim The Dishwasher
8. The Fall Of 1960
9. The Richest Dumbass In The World
10. Open Letter To An Alpine Marmot

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