Un uomo di poche ma buone pretese, Jean Cocteau, disse una volta che il dramma del nostro tempo è che la stupidità si è messa a pensare. Questo mantra che ripeto a me stesso abbastanza sovente non mi aiuta, bensì mi deprime in un contesto prepotentemente (ed è il caso di sottolinearlo) dominato da cretini quale è la società civile. Agli Ufomammut ci arrivo con calma e forse neanche si può parlare di un’uscita come “Eve” senza premettere alcuni concetti basilari. La stupidità , dicevo, è dunque un pregio, l’affermazione dell’ignobile coerenza dell’uomo col suo spirito e, dunque, con i suoi tanti, troppi simili.
Avete presente quella sensazione, invece, che si ha dinanzi alle ripetizioni, ai suoni che all’apparenza ripetono se stessi in un ciclo che pare infinito? Lo stupido sente la monotonia: il savio la μονάς, la monade di Leibniz e ne è felice.
I suoni ripetitivi su un album conferiscono dinamismo, un’eterogeneità che altre forme all’apparenza più variegate di musica non potranno mai avere. Immaginate ora di ascoltare un album composto da una monade, un solo tema. Immaginate poi di avere dinanzi l’ascetismo sonoro degli Om che sembra giocarci fra i 5 movimenti in cui è divisa l’opera con un gusto morboso (quindi puro) per il drone di un colore scuro, indefinito, per le derivazioni lisergiche di un crescendo quasi metafisico, orchestrale di raveliana memoria o, se vogliamo, non dissimile dagli impianti meccanici dei Godspeed You! Black Emperor. Viene alla mente il gusto per la cadenza lisergica di Steve Reich, la maniacalità espressiva di Lamonte Young o forse solamente un trio italiano dall’immenso talento.
Il mito giudeo-cristiano di Eva è per gli italianissimi Ufomammut il tramite col divino, la pietra su cui l’uomo ha costruito il suo mondo, il piacere per la sofferenza come ascesi terrena e presa di coscienza piena, vera e pura. Se con “Snailking” la violenza espressiva era un processo logico, ciclico, in “Eve” la trimurti piemontese guida la propria ispirazione indirizzandola verso una forma-canzone che si esprime in una struttura lineare, retta e quindi improntata all’evoluzione sonora sotto l’egida anticonformista del non-ritorno e del dinamismo di cui sopra, della prospettiva geometrica in uno spazio infinito e pieno di possibilità . La musica di “Eve” è quindi la tragedia dell’ossessione, degli sviluppi musicali pinkfloydiani di “Meddle” (come effettivamente ammettono i creatori di questa elegante mostruosità ) e di un procedimento d’arrangiamento solo all’apparenza ‘sporco’, ‘non curato’.
“Eve” dimostra invece come la creatività migliore abbia origine nelle lunghe ore passate in una sala prove. Se le definissimo una “jam” non faremmo un torto agli Ufomammut ma peccheremmo non descrivendo pienamente la maestosità di un simile lavoro che si regge sul dettaglio, sulle sfumature che lavorano al buio e nell’apparente silenzio del loro poco riconoscibile operato ma che finiscono per rovesciare riff monolitici e colossali come blocchi in una cava.
L’improvvisazione dona la vita ad un lavoro del genere, mentre il dinamismo lo rende grande. Il cretino chiude gli occhi e le orecchie ai dettagli mentendo a se stesso senza saperlo: la purezza del resto del mondo salverà quest’ultimo e non sarebbe male se “Eve” ne divenisse la violenta, trionfale colonna sonora.
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