Dan Sartain è uno di quegli artisti delle scene indipendenti che dopo un lancio al fulmicotone scomparve lasciando tutti nel dubbio. Chi dava per certo non sarebbe mai più tornato però si sbagliava perchè nel 2010 lo vediamo pubblicare per One Little Indian un disco discreto, dicesi mediocre perchè dopo la parabola ascendente iniziale ci si aspettava qualche ingrediente nuovo. Ma “Lives” contiene invece gli stessi elementi a cui Sartain aveva già abituato tutti, vale a dire una miscela eterogenea di rockabilly, blues, rock’n’roll vecchio stile, spesso dai toni malinconici e molto scuri.
Non per questo l’album è brutto, anzi troviamo alcune chicche come “Prayin’ For A Miracle”, ottima colonna sonora per qualche western movie anni ’60, e “Atheist Funeral”, il pezzo più blueseggiante, volendo innalzabile come stendardo di questa produzione molto “easy-going”, dove i pezzi non superano mai i tre minuti e l’idea è sempre quella di una fretta che ti vuole far concludere i pezzi in anticipo. Non costituisce questo un motivo per considerarli meno riusciti, come ci indicano la bella “Touch Me”, ancora migliore se considerata nel contesto chiusura, e “Those Thoughts”, all’apice opposto di “Lives”, con le sue influenze molto nickcaviane.
Quello che manca è la varietà , un aspetto di cui certamente molti artisti del genere non si preoccupavano neanche all’epoca in cui il ‘rock delle radici’ era al top di tutte le classifiche, però dopo un album di alta qualità come “Join” Dan Sartain aspettarsi di più era d’obbligo. Poi se un buon sound, il giusto apporto tecnico, un minimo di sfacciataggine (notare la copertina fighetta) e quel sottofondo noir che ricorda molto le colonne sonore di Quentin Tarantino rendono belle canzoni potenzialmente banali come “Yes Men”, allora significa che questo musicista qualche merito ce l’ha. E in effetti dopo qualche ascolto lo si capisce. L’effetto garage colpisce ancora, e non stupisce che sia diventato un genere di culto. Con artisti come questo si va sul sicuro.