E’ sempre successo, e la storia della musica dagli anni 60 ad oggi ce lo conferma continuamente. Ogni periodo, ogni epoca ha una sua impronta sonora, data da un insieme di elementi che la rendono unica e riconoscibile. Non si può mai definire univoca, perchè nei medesimi anni coesistono sempre stili e proposte sonore ben differenti tra di loro. In più, all’interno di questi generi e tendenze, è innegabile trovare gruppi di musicisti che dire affini tra di loro potrebbe risultare ben riduttivo. E il plagio è spesso dietro l’angolo, magari non voluto, inconscio e comunque innegabilmente sconfinante nella ben poco onorevole scopiazzatura.
Sempre meglio però essere in buona fede, tanto più se le capacità musicali e compositive dei nostri The Ruby Suns si sono abbondantemente fatte vedere nei due dischi precedenti, il debutto omonimo del 2006 e il successivo “Sea Lion” del 2008. Due album che erano due esplicite dichiarazioni d’amore per il gruppo di Brian Wilson, tanto stipati di melodie pop cristalline su cori da spiaggia californiana brulicante di surf e belle ragazze. Decisamente ortodosso il primo, un po’ più rielaborato e personalizzato il secondo, dove le sonorità dei Beach Boys si piegavano ad influenze etno di varia provenienza, dando vita ad una dozzina di brani di un candido pop psichedelico ispirato e genuino, proposto con suoni e strumenti acustici e vintage.
La fiducia nel nostro uomo allora ci spinge a pensare che dietro la nuova proposta, puntuale alla scadenza biennale, non ci sia una decisione presa a tavolino, una scelta ragionata e un po’ ragionieristica di inserirsi nelle nuove tendenze musicali indie più in voga al momento. Quelle, per intenderci, che hanno permesso ai gruppi migliori di raggiungere un posto al sole, con visibilità sulle riviste più diffuse, non solo musicali ma anche di costume. E meritatamente, secondo il parere del sottoscritto.
Per cui se è innegabile l’assonanza con la psichedelia pop degli Animal Collective o l’indie colto dei Grizzly Bear o ancora l’alternative danzereccio degli Yeasayer, non penso che il nostro Ryan McPhun, rimasto ormai unico componente del gruppo originario e quindi artefice in toto delle musiche, delle voci, degli arrangiamenti e della produzione del disco, abbia venduto l’anima per un conto con qualche zero in più, vista l’improbabilità della cosa. O piuttosto per godere di un pizzico di notorietà più rilevante, perchè, agli occhi degli ammiratori di vecchia data, pare inevitabilmente salito troppo tardi su un treno già in corsa, un convoglio già zeppo stipato, generando l’ovvio dubbio di non aver lavorato in buona fede e sotto vera ispirazione.
Vorrei allora poter difendere queste nuove canzoni…ma sono oggettivamente in difficoltà . Al di là della strumentazione, diventata ora sintetica ed elettronica, i brani sembrano spesso girare a vuoto, costruiti su trovate ritmiche godibili e curate, ma che da sole non reggono e non lasciano nulla impresso nella memoria di chi ascolta. Uniche eccezioni “Cranberry”, dove la matrice afro delle percussioni e della melodia, alla Vampire Weekend verrebbe ahimè da dire, le permette di brillare più luminosamente delle altre. O ancora nella conclusiva “Olympic On Pot”, dove i sempre amati ragazzi da spiaggia ritornano a farsi sentire con più insistenza e rendono ragione della tonalità positiva che comunque permea tutto il disco.
Se conoscete ed apprezzate i gruppi di cui sopra, avrete già capito benissimo cosa vi aspetta, canzoni circolari che giocano su cori stralunati e svagati, continue trovate ritmiche ed elettroniche che spingono a muovere gambe e bacini senza troppa fatica e senza troppa foga.
Tutto già sentito, purtroppo, e quel che è peggio sembra mancare anche la voglia di inserire qualche elemento distintivo, che spinga “Fight Softly” un po’ fuori dal gruppo e dal coro. Non brutte canzoni in assoluto, e in ipotetiche compilation estive per amici si potrebbero infilare senza sfigurare affatto, magari proprio tra la “My Girls” degli Animal Collective e la “Ambling Alp” degli Yeasayer. “Haunted House”, per esempio, sarebbe perfetta e potrebbe spingere il vostro amico a chiedervi il nome del gruppo e il titolo della canzone. Sempre che lo stesso amico non sia invece convinto di ascoltare soltanto il retro dell’ultimo singolo del gruppo già amato. Triste la realtà .