Thomas Dybdahl, l’uomo del fiordo accanto.
Avrei sicuramente ascoltato il disco con aspettative più realistiche e minore severità se non fosse stato per i numerosi richiami pubblicitari al alcuni mostri sacri del panorama musicale. Seppure abbiamo un po’ fatto il callo alla moda/revival incombente di chiamare in causa un mito assoluto come Nick Drake per ogni cantautore chitarra-munito sulla scena indie (e meno indie), l’accostamento Drake/Dybdahl pare un po’ azzardato. Dybdahl è sicuramente un simpatico e valido musicista ma la collezione di pezzi che ha messo insieme dopo un ripescaggio da album precedenti non dimostra originalità nè grande evoluzione stilistica.
Anche se il cantautore norvegese è ormai attivo da dieci anni, i brani suonano come una lunga ininterrotta nenia con piccole variazioni sul tema, che potrebbe essere stata composta nell’arco di una serata, sopraggiunta la riflessione esistenziale dopo un paio di bicchieri e una delusione sentimentale.
Tra melodie monocromo, stemperate da inserimento di archi, fiati, hammond qui e li, l’attenzione non è sicuramente risvegliata dai testi, che in linea col resto ripropongono liriche troppo banali per aggiungere drammaticità intensa al disco (penso a it seems I had a secret I didn’t know about untill the day it poured di “From Grace” o a yesterday it seemed life was just a dream, a bad dream di “Adelaide”). L’album è certamente ascoltabile come sottofondo ma non va oltre le nebbie della malinconia. Il titolo del brano iniziale “From Grace” è probabilmente insieme allo stile vocale di Dybdahl, l’unico motivo valido per richiamare il buon Jeff Buckley.
A “B A Part” è affidato il ruolo di “lazzaro” dell’intero disco, sembra debba risorgere, ma è solo il terzo di 12 pezzi. Nel complesso la composizione è lineare, troppo lineare: elettrocardiogramma piatto.
Non fraintendetemi Dybdahl -piglio indie e suono commerciale- ha una bella faccia, scrive canzoni orecchiabili e il sound discreto della scandinavia ci piace ma l’album potrebbe passare inosservato. Disturbare Buckley e Drake è un po’ troppo ma sicuramente la mancanza di incisività ed i toni languidi potrebbero farne un ottimo prodotto da classifica. Certo più appropriato richiamare Damien Rice, che d’altro canto collabora attivamente con Dybdahl. Tutto sommato si prevedono buone vendite e cielo sereno sul fiordo.
La magia norvegese, il candore della neve, la crepuscolare malinconoia nordeuropea: ce la si mette tutta per farsi piacere Dybdahl ma non basta ad evitare un flagrante calo di attenzione e la palpebra calante dal quarto pezzo in poi.
Il fiordo, la neve e il tedio. Nick Drake R.I.P. . Provaci ancora Thom.
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2. A Lovestory
3. B A Part
4. All’s Not Lost
5. Dice
6. Cecilia
7. That Great October Sound
8. Something Real
9. I Need Love Baby, Love, Not Trouble
10. Adelaide
11. One Day You’ll Dance For Me New York City
12. Rise In Shame