18 canzoni. Un titolo e una cover da paura: “Butterfly House”.
Dallo start all’arrivo una galoppata di melense ballate che vengono dal passato.
Se non avessi saputo, se prima non mi fosse stato detto che erano di The Coral, questa volta mi sarei fatto fregare. Avrei detto che è roba che possono ricordare i miei genitori. Il corrispettivo degli Showmen di qualche paesino inglese. Un progressive rock alla Balletto di Bronzo rimodellato da Emerson Lake & Palmer.
Qualche band di inizio seventies a cui si ispirano i Porcupine Tree.
Tutti i pezzi durano circa 3 minuti, e hanno davvero il potere di riportarci indietro, meglio di come hanno fatto altre band negli ultimi anni. Sono già a metà disco capendo che nessuna traccia spicca sulle altre, tutte arrangiate con estrema cura e virtuosismo musicale. Il suono delle chitarre è vintage, e il groove è sempre di quegli anni. “She’s Comin’ Around” è degna dei King Crimson. Sono affascinato. Credo che per la produzione abbiano scelto qualche vecchia volpe che vive ancora nei dintorni di Abbey Road.
“1000 years” è un pezzo che avrebbero voluto scrivere i Fleet Foxes. Ma qui si apre un altro discorso.
Di influenze tali ne risentono (o ne risentivano) anche i Kings of Leon, ma era solo un atteggiamento.
I The Coral hanno concretizzato il tutto con un immenso tributo al passato. E fatto veramente bene. “Coney Island” è potente, e piacerebbe a Zach Condon (Beirut).
Gli ultimi capitoli dell’opera diventano molto più psichedelici e acustici. In bilico tra Johnny Cash e Neil Young (con una punta di Doors).
Il problema è che guardare così tanto al passato ignorando il presente ti mette in una posizione netta. E questo disco può essere reputato una canonica ‘palla’ per chi poga da solo nella sua stanza al ritmo dei CYHSY.
Io credo che la loro lode ai “‘tempori acti’ sia un netto percorso di autoaffermazione, e non un rifugio (come lo poteva essere per chi ha fatto questa scelta a cavallo tra questi 2 secoli). Penso che la nostalgia è solo una componente di questo lavoro, sicuramente è un fattore che lo rende bello, e saper carpire le citazioni è un pretesto in più per gustarlo. Ma l’ottimismo, che sottende al senso di ‘adesso’ c’è e si vede (“AnotherWay”).
Io ho sempre preferito quelli che rielaborano il passato per sfornare nuovi ‘anthems’ generazionali. Ma quando una cosa è fatta bene si apprezza sempre.
Voglio bene ai The Coral, anche perchè furono la colonna sonora di un video in cui giravo in accappatoio nei supermercati, ma in questo disco non c’è nessun jingle facilmente memorizzabile; questi ragazzi sono diventati più profondi e mi piace. Ripercorrono il passato senza essere vacui come i Turin Brakes, e possono amplificare le nostre sensazioni quando ci ritroviamo in una mansarda afosa a metà luglio pensando che l’estate è crudele.