Se i Garbage avessero ascoltato più industrial tedesco, si fossero fatti registrare e produrre da Marco Trentacoste e avessero avuto alla voce Karen O, probabilmente sarebbero stati simili ai Mallory Switch. E non sarebbero stati quella grande band che erano agli inizi. Ma tutto ciò non c’entra niente.
Dopo un paio di EP sopra la media se comparati con il panorama italiano, arrivano al momento della dimostrazione pratica con quell’hype di troppo che a volte gira attorno ai progetti di questo tipo nel nostro paese. Le sonorità non ci appartengono, le ispirazioni provengono dall’universo teutonico dei Rammstein e dei Kraftwerk, dai Garbage, dai Lacuna Coil e pure da qualcosa di dark. L’insieme dei generi mescolati dai Mallory Switch, in realtà , stupisce, per la raffinatezza con cui alcuni brani sono stati composti, quasi come uno splendido patchwork sonico. L’elettrorock dal piglio vagamente british dell’inizio di “The Last Man On Earth” (con il rap di Beans, ospite in questo pezzo), quell’alternative à -la-Yeah Yeah Yeahs che si sente prevalente in “Business Television” e “No Evil”, il primo più vicino alle sonorità dei primi lavori della formazione newyorkese, il secondo all’ultimo disco, salvo poi deflagrare in quel monumentale e preciso ritornello marziale che ricorda, alla batteria, le ritmiche di Christop Schneider dei Rammstein. Qualche nota gothic e dark aleggia in “Brand New World”, tra i pezzi meno riusciti, e “Evolution Machine”, sporcandosi poi di elettronica puramente rock nello spirito, in “Mumbling My Time”, dove liberano tutta la qualità del loro songwriting per produrre un brano di alto splendore compositivo, superando anche i fasti del secondo miglior pezzo del disco, “Flow”.
Le linee vocali di Audrey Lynch sono assolutamente fuori da ogni schema, a volte accostabili a quelle di Cristina Scabbia o la già citata Karen O, ma più spesso abbandonate all’inventiva della frontwoman, che crea un suo modo di cantare e comporre tale da alzare inoppugnabilmente le sorti del disco. Un difetto dell’album è forse quello di essere un po’ fuori tempo massimo, in un periodo in cui questi generi non tirano più, ma se si badasse sempre a queste cose, le mode non cambierebbero mai. Essenziale l’apporto di Trentacoste giacchè il suo lavoro sui suoni fortifica il già pesante comparto ritmico di basso e batteria, granitici come non mai, e smussa gli angoli anche della sezione elettronica/programmata, resa perfettamente unitaria con il resto del monolite sonoro tramite l’uso di un sound appropriato e di un’attenzione estrema all’equalizzazione. Il songwriting, come già detto, è ottimo e si macchia dell’unica colpa di essere troppo esterofilo, aspetto che non sarà certo così grave se i Mallory Switch punteranno all’estero come hanno già fatto band analoghe di più successo.
Gran sound, canzoni carine e ottime possibilità . Tentativo da apprezzare.