A volte, il supporto attira più della band principale. Non è questione di snobismo. Forse è solo ignoranza. Forse solo affetto. Il nome Badly Drawn Boy può scatenare quella reazione da non-posso-mancare. Suonasse anche solo per sette minuti, ma non si può mancare. Non importa se la conoscenza degli altri artisti in cartellone è a livelli minimi o del tutto inesistente, bisogna esserci.
Se poi suona in un posto così bello, con il Castello Sforzesco di Vigevano a fare da sfondo, e se ci sono le birre dell’Orso Verde, la serata non può che andare bene. Quel buontempone con il cappellino di lana sale sul palco alle otto e venti, dietro di lui la moglie e i due figli che si posizionano a lato del palco. Lui, al centro con una semplice chitarra acustica, si presenta come Damon Gough da Manchester e un po’ timidamente dice questa è la prima canzone del mio primo disco.
Non sono in molti per lui stasera, non sono in molti a conoscerlo. Non sono in molti a sapere che sta per suonare “The Shining” e che chi lo segue da anni è già ricoperto di brividi. La prima canzone di un set di quarantacinque minuti assolutamente perfetto, leggero e fresco, un set in cui anche le introduzioni alle canzoni sono adorabili. Suona canzoni vecchie e nuove, eseguendole in modo meravigliosamente normale, pesca da tutto il suo repertorio e mette in piedi un concerto incantevole. Ci sono le imprescindibili “A Minor Incident” e “Pissing In The Wind”, la splendida “Is There Nothing We Could Do?”, scritta e pubblicata qualche mese fa per il film “The Fattest Man In Britain”, film che it’s not about me, come lui stesso simpaticamente specifica. Ci sono due canzoni nuove: quella “In Safe Hands” scaricabile gratuitamente da qualche giorno e un altro pezzo scritto ad Ancona qualche anno fa, l’unico momento in cui prende la chitarra elettrica e si fa accompagnare da un beat preregistrato sul suo Iphone. Due canzoni che fanno ben sperare per il suo prossimo disco in uscita a ottobre. C’è una “The Time Of Times” tenerissima, cantata con sua figlia perchè mi ha chiesto di cantare una canzone e non potevo dirle di no. Una bimba che non sa dove mettere le mani e che canta guardando il padre con tanta ammirazione. E pur essendo in pochi, alla fine di ogni canzone ci sono sempre forti applausi, tanto che, quando Bady Drawn Boy lascia il palco alla fine del set, torna sul palco per suonare un ultimo pezzo mentre il suo tour manager (che gli fa anche da roadie) porta via le chitarre. Damon si siede alla tastiera e suona qualche battuta di “Like A Virgin” di Madonna, prima di iniziare la splendida “Silent Sigh” che chiude una performance di altissimo livello.
E come si suol dire, chi ben comincia è a metà dell’opera. Dopo Damon Gough sale sul palco Brendan Perry, metà maschile dei Dead Can Dance, che presenta in modo tecnicamente impeccabile il suo ultimo lavoro “Ark”, ma che non riesce a coinvolgere chi non lo conosce. Cosa che invece riesce alla perfezione agli Archive, che suonano per un’ora spaziando tra tutti i generi che hanno sperimentato nella loro carriera (dal rock all’elettronica al trip hop), chiudendo con un ottimo concerto una bellissima serata in una bellissima location.
Credit Foto: Claude-à‰tienne Armingaud – Claudè / CC BY-SA