Questa recensione arriva in ritardo di mesi e parla di un album piuttosto prescindibile, ma si tratta dei Band Of Horses, quindi era giusto scrivere due righe”… .

Quando Indieforbunnies era ancora Indie For Dummies e a scrivere eravamo in tre le cose erano diverse. Axel viveva a Roma, Francesco a Rimini e io sopravvivevo in un buco di culo di monolocale a Bologna dalle parti di via Mascarella. Quella stanza e mezzo non aveva il riscaldamento nè una cassetta della posta fuori la porta e uno dei primi pacchetti targati Sub Pop contenenti i promo da recensire che la postina con sdegno mi buttava davanti alla porta d’ingresso conteneva “Everything All The Time”, album di debutto di una band per me allora sconosciuta. Non avevo mai sentito parlare dei Carissa’s Wierd tantomeno di Ben Bridwell e della sua barba. Ascoltato il disco gli appioppai 5 stellozze piene perchè rimasi fulminato.
Romanticismo, voci sussurrate, toni altissimi, una musica folk, eppure pop, eppure gospel eppure quasi sacra, scatenava immagini vivide nella mia mente. “The Funeral” era un nuovo inno e quei mesi bolognesi romantici e sofferti come quell’album.

Poi fu il turno di “Cease To Begin” che comprai praticamente a scatola chiusa (e grazie a Dio di una nuova città  quindi di un nuovo appartamento). Non mi sono mai pentito della cosa, perchè in quell’album forse si era perso un po’ il retrogusto lo-fi e acustico, ma sicuramente la forza di un sound prodotto in maniera ancora più completa, mai eccessiva, in cui i testi e la coralità  dei pezzi era perfetta, suonava come una meraviglia. Una traccia strappalacrime chiudeva un album vissuto e sudato. Tyler Ramsey che, grazie a un semplice messaggio myspace, nel frattempo mi spediva il suo disco solista a casa (giuro su quello che vi pare!) e io che cercando di estrarlo dalla confezione lo ruppi in due pezzi, bestemmiando come un pazzo furioso. Poi ci pensò Just a scrivere almeno un piccolo trafiletto sull’album. Insomma dire che “Cease To Begin” e i Band Of Horses avevano lasciato un’impronta quell’anno è dir poco. In cima alle classifiche degli album dell’anno in mezzo mondo e anche su Indie For Bunnies.

Arrivati a questo “Infinite Arms” le aspettative di tutti erano a dir poco grandi. Io per primo non vedevo l’ora di scoprire se il terzo disco sarebbe stato quello della consacrazione definitiva oppure no.
“Ni” credo sia la risposta.
Passare da un’etichetta a una major oggigiorno non significa necessariamente scendere a compromessi (artisti come Devendra Banhart insegnano) anche perchè l’indie attualmente è un gioco a cui tutti vogliono giocare (vincendo qualcosa possibilmente).
Il problema di questo disco sta in una produzione troppo perfetta, in una metrica che quadra troppo, in ogni singolo ‘centimetro di suono’ riempito come un uovo. In mille strumenti suonati, in un qualcosa che una volta tagliava perchè affilato e adesso pettina (seppur egregiamente) perchè ha perso la lama.

Esempio lampante di quello che voglio dire è la traccia numero nove: “Older”, scritta dal paffuto Ryan Monroe (tastierista ormai in pianta stabile nella formazione), era un brano che per mesi era in streaming sul sito myspace personale del musicista ed era una canzone da sogno.
Una voce.
Uno strumento.
Un’idea scarna che funzionava alla perfezione. Strappalacrime, il testo arrivava a colpire e un chitarra arpeggiando due accordi urlava più di una banda di musicisti ubriachi in una festa di paese. In “Infinite Arms” la traccia è proposta e arrangiata come una normalissima canzone pop, leggermente up tempo che una volta finita non lascia niente. Si, carina. Ok.
Punto.

Questo album è pop e country, è ben prodotto, ha dei buoni pezzi (di cui non voglio scrivere perchè esaminarli uno a uno è noioso), o, se proprio devo, cito sicuramente ad esempio “For Annabelle”, ma manca nella profondità  dei due precedenti. Chi ama la buona musica apprezzerà  sicuramente “Infinite Arms” perchè non è una produzione riuscita male, ma attualmente non regge il confronto con dischi prodotti da band che giocano sullo stesso campo del gruppo in questione. A parere personale a fine anno non sarà  in molte top list: melodico ma non maledetto. Puliti e auto compiaciuti, i Band Of Horses devono sporcarsi le mani e l’anima di nuovo per arrivare dove erano arrivati con estrema facilità  prima.