Forse non vi ho mai parlato dell’importanza del chiedere spiegazioni. Eppure è una cosa che ho imparato da tempo, anche se sono il primo a metterla in pratica davvero di rado, lo ammetto. E’ una cosa che risale alle esercitazioni scolastiche di epoca triassica, quando c’erano ancora i temi per intenderci (ci sono ancora?), a quei tempi mi ingegnavo con le idee più che con lo stile. Era poi sempre sconcertante scoprire che chi andava meglio lo doveva alla forma e alla “pulizia”, sebbene si mettessero su carta cose anche banali.
Stupido io che non l’ho capito allora, oggi mi appare perfino ovvio; ancor più idiota che ho preferito arrivarci da solo, decenni dopo, piuttosto che chiedere lumi. Quante ore concentrato su come far quadrare un ragionamento, o a far della filosofia spicciola, a discapito di una prosa che non mi assecondava!
-per inciso, oggi credo di aver abbandonato l’una e l’altra via-
Perchè vi dico questo?
Bè, perchè l’ultimo dei Books, il primo da cinque anni a questa parte, mi pare fare la parte della coperta strattonata qua e là (e sempre troppo corta), fra il significato e il modo in cui viene rappresentato. Parlare di manierismo sarebbe svilente, il concetto va approfondito.
Per gli enciclopedici i Books sono Nick Zammuto e Paul de Jongun, un duo di New York attivo dal 1999.
I due sono unanimamente riconosciuti come capostipiti della collage music: non saprei come potrebbe essere altrimenti, visto che la definizione è stata partorita dallo stesso Nick Zammuto.
Folktronica è probabilmente l’etichetta più calzante, vista la predilezione per la combo di musica elettronica e folk, spesso stesa su tappeti di samples campionati da fonti oscure.
“The Way Out” esce per la Temporary Residence Records, al contrario delle prime tre uscite, tutte sotto etichetta Tomlab.
La cosa che maggiormente rompe con il passato è la campionatura di intere parti vocali, rispetto al ‘sampled and looped’ più frammentato degli album precedenti. Le parti vocali, in alcuni casi bambini (ma il ragazzo di “A Cold Freezin’ Night” è lo stesso di “The Queen Is Dead”?!?!), in altre registrazioni cliniche da sessioni di ipnoterapia, costituiscono l’ossatura di questo disco ancora una volta sperimentale.
A tratti sembra di ascoltare un fake, o un rivisitazione di Madvillian in chiave ‘suonare con lentezza’, prova a non sorridere ascoltando “The Story Of Hip-Hop”.
In altri momenti spunta la verve degli Animal Collective ai tempi di “Sung Tongs” (“Thirty Incoming”). “We Bought The Flood” e “Free Translator” invece, sono due dei pezzi più toccanti: pura folktronica soffusa made of voce e chitarra (e poc’altro).
“The Way Out” è un discreto pezzo di puzzle-music, ampiamente promosso per quanto mi riguarda. Tuttavia 5 anni dopo il grande “Lost And Safe”, si presenta la domanda se la voglia di stupire abbia preso il sopravvento sulla voglia sperimentare e se il tutto non presti un po’ il fianco all’edonismo.
Io mi gioco la carta ‘Beneficio del dubbio’.
Recensione thanx to IndieRiviera
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2. IDKT
3. I Didn’t Know That
4. A Cold Freezin’ Night
5. Beautiful People
6. I Am Who I Am
7. Chain of Missing Links
8. All You Need Is A Wall
9. Thirty Incoming
10. A Wonderful Phrase By Gandhi
11. We Bought The Flood
12. The Story of Hip Hop
13. Free Translator
14. Group Autogenics II