Pochi si saranno dimenticati di questo ragazzetto inglese che nel 2006 sfornò un album micidiale nel pieno della rivoluzione minimal berlinese dal nome “The Idiots Are Winning” e considerato dal The Guardian come the most astonishing debut in electronic music since Boards of Canada‘s “Music Has the Right to Children”.
James Holden oltre a essere un grande e talentuoso artista è ovviamente il fondatore della Border Community, piccola etichetta che era in quegli anni al centro di tutta la scena minimalista europea e non, insieme ad altri talenti come Apparat, Ellen Allien, Nathan Fake (che debuttò proprio con la Border) e pochi altri.

Oggi Holden è un consolidato produttore e dj di fama internazionale che tra un live set e un altro riesce anche a rilasciare mixtapes, ep e quant’altro come se niente fosse.
Non poteva così certo mancare un “Dj Kicks”, celebre mix-series della !K7 records, etichetta che diede anche tanto proprio in quella stagione germanica e minimalista di 4-5 anni fa.
Il 2010 è stato un anno colmo di uscite per la serie in questione (lo scorso di Juan MacLean e il successivo da parte del re dubstep Kode9) e questa puntata con protagonista James Holden è sicuramente una delle migliori, forse in assoluto.

Holden non vuole deludere, non vuole lasciare la presa. Anche in un mixtape riesce a mostrare tutte le sue qualità  di artista, creando una sorta di forte legame tra la sua nomina di artista, appunto, e quella di dj: artista + dj, artista = dj.
Ma basta dare uno sguardo alla tracklist per comprendere ciò che dico: Piano Magic, Kieran Hebden (con il batterista jazz Steve Reid), Caribou, Luke Abbott e addirittura Mogwai. Sembra tutto fuorchè un dj-set discotecaro, eppure qui si balla, nel modo che vuole Holden: ritmiche progressive, poco marcate e sfumate, ma quasi sempre dritte, geometriche. E’ un crescendo di psichedelia, tra gemme elettroniche e groove soffici, sottili, tracce che quasi vogliono sfidare il senso classico della concezione di dj set. In tutto questo caos c’è però equilibrio, perfetta empatia, emozionale, eppure anche materiale.

Se non è mai esistita un’esaustiva definizione esemplificativa del termine IDM -intelligent dance music- questo disco potrebbe esserne l’attesa risposta.

Credit Foto: David Edmondson