In Dreams I walk with you”…
In Dreams I talk to you”…

(Roy Orbison, “In Dreams”, 1963)

Per tornare indietro dai propri sogni collettivi, i protagonisti di Inception si danno un segnale sulle note di “Non Je Ne Regret Rien” di Edith Piaf.
Invece, le parole della canzone di Roy Orbison riecheggiano in tutti i dialoghi tra Leonardo DiCaprio e Marion Cotillard, sedimentate nel subconscio del protagonista, nell’unico terreno in cui sono ancora possibili.

Tra le citazioni che Nolan pesca dal suo cesto di suggestioni (nel finale, anche la più che celebrata stanza rococò di 2001 di Stanley Kubrick), quella che percorre tutto il film appartiene però al più grande sogno di tutta la storia del cinema.
Quello in cui una ragazzina del Kansas precipitava nell’incantato mondo in Technicolor di Oz, per poi scoprire che il suo unico desiderio era quello di tornare a casa dalla nonna e dai parenti.
There’s No Place Like Home: è quello che tormenta Cobb per tutta la sua avventura attraverso la storia del cinema.
O forse quella di Dorothy è solo una suggestione, uno dei tanti innesti che da più di un secolo lo schermo e i film offrono al pubblico, al punto da formarlo e da cambiare la loro vita per sempre, proprio come fa la banda di Leonardo DiCaprio con la loro vittima Cillian Murphy.
Che il cinema sia l’arte della persuasione (forse la più potente?) lo sapevano persino i nazisti…

L’ambizione di Christopher Nolan è direttamente proporzionale al suo talento di sceneggiatore: “Inception” fa concettualmente a pezzi il cinema partendo dalla sua struttura base, cioè dal suo lavoro subliminale che punta direttamente ai ricordi e alla personalità  di ogni singolo spettatore, come se tutti i personaggi coinvolti nel vorticoso intreccio fossero il pubblico di ogni singolo film progettato e scritto, ideato e pensato da uno di loro.
Non c’è un terreno di tutto il cinema già  vissuto che Nolan non tenti di rimettere in discussione, a partire dalla significativa alterazione dello spazio e del tempo, che sono i due vettori principali su cui si muove e si orienta la visione.
Infatti, a cosa servirebbe il riferimento a quell’eterno presente che è la dimensione del cinema, a quella condizione di sospensione della verosimiglianza che lo accomuna al sogno?
Possiamo ricordare il momento in cui siamo entrati nella sala, ma quello in cui siamo entrati nella vita dei personaggi?
Siamo sempre come la donna/bambina Ellen Page che assiste alla sua scena primaria (Tu non dovresti essere qui!) da dietro la grata dell’ascensore…
Cosa si può dire del modo in cui Leonardo DiCaprio si rifugia nei suoi sogni e nel mondo che ha ancora lasciato in vita con Marion Cotillard, se non paragonarlo al piacere che prova ogni cinefilo quando va a trovare conforto nel buio della sala, nella realtà  migliorata offerta dal cinema?

Nolan attraversa i generi con una disinvoltura disarmante: il personaggio di Cobb è una versione futuribile di un eroe del noir, incapace di superare il proprio passato e il proprio peccato (a questo punto, un titolo come “Le Catene Della Colpa” di Jacques Tourneur è quasi esemplare…), e i set cambiano vorticosamente dall’action al film drammatico, mentre mondi e città  intere, luoghi del ricordo e del desiderio si costruiscono e si distruggono sotto gli occhi di chi guarda.
Come “In The Prestige”, alla fine è solo una magia e un trucco calcolato al millimetro, in cui Nolan può dare sfogo al suo gioco di scatole cinesi, fatto di doppi che si rispecchiano, di vorticosi balzi all’interno della struttura del racconto, in cui il meccanismo del cinema diventa improvvisamente la materia il film stesso.

Ma cos’è il cinema se non la più squisita delle illusioni?
La tragedia opera un inganno, per cui chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più sapiente di chi non è ingannato.
Così scriveva il sofista Gorgia venticinque secoli fa, e il riferimento alla mitologia è garantito da Ellen Page, che nel film si chiama Ariadne, con un’evidente analogia all’eroina che guida Teseo fuori dal labirinto.
Che sia un pregio o che sia un difetto, Christopher Nolan si è dimostrato ancora una volta come uno dei più grandi imbonitori della sua era.