à‰ davvero una impresa ardua recensire i Women, ma altresì è anche un immenso piacere. Incatalogabili e lontani dalle indie-mode i quattro canadesi si presentarono nel 2008 con un debutto coi fiocchi pieno di polverosissimi gioiellini di alternative pop stranissimo e sghembo immerso in una densa, dolciastra melma lo-fi. “Public Strain” è la grande conferma del talento di questa ermetica e poco conosciuta band che, ne siamo quasi certi, continuerà a rimanere un culto per pochi ascoltatori alla ricerca di nuove e ‘diverse’ vibrazioni.
I Women riescono lì dove molte band falliscono miseramente: suonare ‘vintage’ e in qualche misterioso modo freschi e ‘futuristici’. Sui fondali sfocati e sbrindellati delle tracce aleggiano spettri di canzoni che un tempo si sono aggirate svagate presso spiagge assolate, ma che sono state assorbite da un alienante marciume post-moderno per poi dissolversi e rinascere sotto nuove spoglie noise-pop.
Chissà quale dolceagra meraviglia si nasconde, veicolata dalla melodia vocale di Patrick Flegel e dal basso del fratello Matt, sotto gli stridori e i drones di “Can’t You See””…e invece si rimane così, tra catalessi, estasi e lieve tensione. “Heat Distraction” è dominata da inquietanti, calibrate e quasi fastidiose compulsioni androidi di cui si libera solo il tempo di un gustoso bridge solcato da una epica progressione neo-post-punk. “Narrow With The Hall” è uno sgualcito cencio pseudo-sessantiano travolto da una quieta tempesta di detriti noise. Alle sognanti “Penal Colony” e “Bells” (intermezzo ambient dolcemente rumoroso) seguono le ben più tenebrose “China Steps” (il brano più scuro del lotto, con quei sinistri, taglienti strappi chitarristici che creano un’atmosfera psicotica e opprimente), “Untogether”, “Drag Open”, e “Locust Valley”: grotteschi e apparentemente monotoni geometrismi sonori che a un certo punto sembra stiano sempre per deragliare o meglio ancora per implodere, alienanti arpeggi ultra-ipnotici sospinti da incessanti, robotiche palpitazioni, un senso di smarrimento generale senza però la normale tensione che normalmente ne deriverebbe. E’ uno scivolare nell’ombra composto, un farsi largo con passi misurati in una tempesta di schegge fino ad arrivare in un punto preciso che era un miraggio e rimarrà un miraggio, è un riflesso che si ripete miliardi di volte senza che si riesca a ridurlo ad una sola immagine, è godere di questa irresolutezza, di questa indolore sensazione di annullamento. E’ nichilismo sonoro prosciugato del suo stesso veleno.
E non finisce qui. Nei due pezzi finali i Women si spingono ancora oltre. “Venice Jocklaw”, con quei carezzevoli intrecci di arpeggi porta l’indie-pop nei territori di un astrattismo denso di dolce malinconia. “Eyesore” è il capolavoro dell’album e verrà ricordata da chi scrive come una delle canzoni più devastanti di questo 2010 a cui non manca molto per tirare le cuoia: Velvet Underground da una parte e Deerhunter dall’altra scorti con le code degli occhi che vanno a congiungersi per poi svanire in una nuvola di fumo metropolitano, spiegazzati ectoplasmi doo-wop che lasciano il posto a un fiero, epico incedere post-wave, linee vocali tanto solari quanto allucinate”….che roba!
Difficile, ostico e storto, “Public Strain” passerà inosservato ai più. Ma la sua bellezza inusuale non ci ha lasciati di certo indifferenti.
2. Heat Distraction
3. Narrow With The Hall
4. Penal Colony
5. Bells
6. China Steps
7. Untogether
8. Drag Open
9. Locust Valley
10. Venice Lockjaw
11. Eyesore