Che dire di uno spettacolo del genere? Che è stato più rock di qualsiasi altro concerto rock (da me) visto recentemente? Che è iniziato troppo tardi e l’attesa era ormai divenuta insopportabile a causa dello stesso disco inopinatamente mandato in loop sei o sette volte? Che Caribou si è esibito per primo ed avrebbe meritato di suonare un tantino di più? Che Caribou è un genio e se scegliesse di fare cose più facili potrebbe anche sbancare le classifiche? Che Four Tet si è esibito per secondo e non ho capito il senso della sua esibizione? Che poi ci sono stati ulteriori dj set ma io ero già  sotto le coperte? Che non ho ancora capito la deriva intellettual-technoide presa da Four Tet negli ultimi due/tre dischi? Che durante il cambio palco la gente che era lì nelle prime file per sentire Caribou è sparita, inspiegabilmente sostituita da altra gente che era lì per sentire Four Tet? Che è stata una fortuna aver potuto assistere ad uno spettacolo del genere?

Ma andiamo con ordine perchè non ci capisco più nulla. L’evento era annunciato dall’estate scorsa, ma abbiamo dovuto aspettare novembre per poter assistere alla tanto agognata data italiana di Caribou e Four Tet al Link di Bologna (che poi a dire il vero doveva tenersi al Locomotiv, ma poi un po’ di sfighe varie assortite hanno causato lo spostamento al Link). Si va lì, incuranti del possibile pienone e del possibile pienone di gente che ha scoperto Caribou solo con l’ultimo, fantastico “Swim” e non sa nemmeno che Caribou una volta si faceva chiamare Manitoba ed ha dovuto cambiare nome d’arte perchè quel simpaticone di Handsome Dick Manitoba dei Dictators gli ha piantato grane legali assortite (un po’ come se il signor Cazzoduro Romagna imponesse ad un musicista che va in giro facendosi chiamare Romagna di cambiare nome perchè ha lui il copyright sul nome di una regione italiana, è ridicolo ma tant’è).

Il pienone non c’era, ma c’era la musica degna di nota: Caribou non si è limitato a fare solo cose da “Swim”, ma è andato indietro fino ad “Andorra” e a “The Milk Of Human Kindness”, accompagnato da una backing band parecchio in palla e da una poliedricità  degna di nota. Caribou (al secolo Dan Snaith) suona la chitarra, i synth, la batteria, Caribou non indossa le scarpe ma si limita ad andare sul palco con i calzini, Caribou passa da uno strumento all’altro, canta in maniera surreale e lo fa mantenendo sempre una espressione facciale che denota grande calma e signorilità . Caribou e la sua backing band sono una macchina sonora da guerra e quando sono partite “Odessa”, “Sun” e “Melody Day” è stato il delirio, il delirio che può suscitare solo chi è capace di far ballare la gente con la psichedelia, il kraut rock, l’elettronica di scuola Warp, la cassa dritta da autoscontro. Concerto dell’anno? Ci siamo vicini.

Con Four Tet invece le cose sono andate diversamente, ma solo per colpa mia. Lui non c’entra proprio. Non che sia stata roba brutta (avercene di roba del genere), è che non riesco a trovare un senso in un concerto (chiamiamolo così che facciamo prima) di un tizio che chino sul proprio laptop e su bottoni e cursori vari si limita a fare un dj set di pezzi suoi, meshando e rimixando all’occorrenza gli elementi che compongono il tutto. Purtroppo per lui Four Tet non è i Daft Punk che chiusi nella loro piramide giocano a Pro Evolution Soccer mentre fingono di fare un live set, la sua proposta è troppo intellettuale per i miei gusti e dal vivo ha finito per annoiarmi discretamente. Probabilmente se avessi ascoltato la medesima esibizione mentre di notte alla guida della mia auto saltavo un posto di blocco dietro l’altro il mio giudizio sarebbe stato radicalmente diverso, ma siccome io mentre guido di notte rispetto le leggi della Repubblica Italiane ed ascolto il programma di Alessio Bertallot su Radio2 perchè il buon Bertallot propone esattamente la stessa musica che proponeva dieci anni fa preferisco il primo Four Tet, ossia quello che fondeva hip-hop, glitch, frattaglie folk e tante altre cose. Come volevasi dimostrare, colpa mia e non di Four Tet.

E per concludere, un pensierino tipo quelli che si usavano alle elementari per terminare i temi: chi si ostina a fumare nei locali pubblici in barba ai divieti è un burino che non sa cosa voglia dire rispettare gli altri. A Bologna come nel resto d’Italia.

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